RIMOZIONE PECCATO


11/06/2014

Domanda (maggio 2014):«Una domanda riguardo alla confessione: se una persona rimuove dalla propria memoria volontariamente un peccato, si può parlare di dimenticanza colpevole? Con rimuovere intendo un meccanismo per cancellare il ricordo di un peccato, non intendo rimuovere nel senso di nascondere... questo ovviamente è avvenuto a distanza di giorni... Ecco vorrei sapere se in questo modo la confessione poi risulta sacrilega, anche se dopo aver fatto l'esame di coscienza comunque non ricordo più quel peccato, perché rimosso appunto... Grazie.»

Risponde don Gigi Di Libero sdb

Se ho capito bene si riferisce alla confessione e al fenomeno psicologico della “rimozione” conosciuto ma che, come lei fa capire, non sempre risulta facilmente valutabile da un punto di vista della responsabilità e quindi della sua valutazione morale e della qualità del sacramento celebrato.
Certo la rimozione non è propriamente la volontà esplicita di nascondere e quindi di mentire.
Però mi pare che non si possa in nessun modo nascondere che c’è sempre un momento in cui noi abbiamo coscienza che un peccato, una condizione o un certo elemento di una nostra azione e decisione ci risulta non gradita o pesante o causa di conseguenze negative e che a noi non piacciono anzi risultano per lo meno dolorose o vergognose per cui scatta il meccanismo (diciamo di difesa?) di rimuoverlo per non assumerne né l’esistenza, né evidentemente le conseguenze e la relativa responsabilità.
Capisco che in questi movimenti delicati e non sempre facilmente definibili non sia poi facile fissarne il valore morale e quindi la responsabilità e la conseguente possibile colpa e relativa valutazione morale.
Pertanto credo che questo sia un momento di autovalutazione e ripensamento cosciente che possa in qualche modo responsabilizzarci e pertanto esprimere una valutazione morale conseguente: certo assolutamente soggettiva e che ciascuno di noi con la propria coscienza e sensibilità morale deve responsabilmente assumere.
Posso dirle che personalmente mi regolerei così:
­– non essendo per me la confessione un tribunale in cui patteggiare un giudizio di condanna o assoluzione,
– ma un abbandonarsi nelle braccia di un Padre Misericordioso, rappresentato da un sacerdote,
– io, accorgendomi di questo fenomeno in atto nel mio vivere e nel mio confessarmi, sarei senza dubbio portato a ridire semplicemente tutto quello che mi è capitato più o meno coscientemente,
– volendo abbandonarmi con estrema trasparenza alla misericordia di Dio che sicuramente mi capisce e sa meglio di me quello che ho vissuto e come lo ho vissuto nelle confessioni precedenti.
L’altro punto che desidero sottolineare e che corrisponde alle sue domande:
la confessione è valida e non è sacrilega quando gli elementi che la costituiscono da parte nostra non sono volutamente di inganno, menzogna o voluta menzogna.
Perché la confessione non sia valuta si deve tacere, nascondere o mentire con volontà certa e deliberata.
Se si aggiunge un senso di disprezzo o di mancanza di vera fede e di trasparenza nelle nostre intenzioni chiaramente si rende il sacramento sacrilego.

Spero di aver risposto in modo comprensibile e completo, ma resto a disposizione.