Il sig. N.M. mi internetta: "Ho pensato molto sulla Sua predica di Pasqua circa il dovere di votare. Per il referendum, io ho motivi seri pro e contro il sì e il nò. Votare scheda bianca vuol dire in pratica stare o con gli uni o con gli altri. Invece, se non voto, può darsi che il referendum salti ed è la cosa che secondo coscienza ritengo migliore. Lo posso fare da buon cristiano?"
Rispondo perché la Sua domanda è di morale (cristiana) e non di politica, benché riguardi un fatto politico.
Anche la mia risposta, quindi, sarà di morale e non di politica.
Tengo subito a precisare - come ho già detto altre volte - che il cristiano deve affrontare tutti i suoi impegni, anche quelli politici, come quelli individuali, familiari e sociali. Il cristiano affronta quegli impegni non per fare politica, bensì per essere cristiano anche nella politica. Infatti, la politica e' "il governo di quella cosa pubblica" che è anche sotto la sua responsabilità, per la parte che gli spetta ed entro i limiti che gli spettano, che sono diversi se uno è semplice cittadino o se responsabile di altri, o ha un certo incarico o professione (che potrebbe anche essere addirittura politica).
Per questo, nella mia passata predica ho insistito sul dovere - cristiano - di votare, perché non si può lasciare che il "governo della cosa pubblica" resti o cada in mano di persone che non si preoccupano di gestirlo secondo "verità, giustizia e carità nella libertà".
Ma, il referendum, dicevo, e' un caso di stretta tecnica politica, salvo conseguenze direttamente collegate (come sarebbe p.e. un referendum sulla cessione dei propri organi o su qualche tecnica di ingegneria genetica).
Il dovere di votare, pertanto, non e' assoluto; e quindi potrebbe anche dissolversi; MA - notiamo bene - per una qualche "ragione (c.vo)proporzionatamente (c.vo) grave". La ragione portata dal sig. N.M. può ritenersi proporzionatamente grave?Occorre vedere cos'e' quel "proporzionatamente".Sui piatti della bilancia, da una parte mettiamo il dovere (morale) di votare; dall'altra, mettiamo l'esimersi dal votare, col motivo della speranza che non si raggiunga il quorum e quindi caschi lo stesso referendum (che, in coscienza, il sig. N.M. ritiene la soluzione più equa).
E' ovvio che anzitutto dobbiamo chiederci se e' morale o immorale collaborare affinché il quorum non si raggiunga. Notiamo:a) il referendum è approvato, non imposto, dall'autorità competente e chi l'ha sottoposto all'approvazione e' stata una parte minima, pur rilevante, di cittadini, non la rappresentanza ufficiale di tutta la società nazionale.
Legittimo, quindi, ma non vincolante in coscienza, com'e' stato p.e. il referendum sul divorzio o sull'aborto;b) l'attuazione del referendum costa allo Stato una cifra enorme (circa mille miliardi). La responsabilità di quella spesa grava anzitutto sulla legge relativa e su chi ne ha provocato in un modo o nell'altro l'attuazione.
Anche il cittadino e' impegnato moralmente affinché quell'enorme cifra non venga frustrata? Certamente sì, posto e non concesso che tutto si sia svolto secondo "verità, giustizia, ecc.", … salva però una "ragione proporzionatamente grave" per mandare tutto all'aria. Un solo voto certamente non può assicurare che il quorum non si raggiunga.
Diverso sarebbe se qualcuno facesse parte di un movimento che si proponesse quello scopo (di per sé lecito, per i motivi già visti) e che numericamente desse una certa garanzia. Nel nostro caso, però, c'e' da dire che le ultime esperienze di voto autorizzano il dubbio che l'afflusso alle urne non sia sufficiente.Quindi penso che la palla ritorni al sig. N.M.: tocca a lui scegliere in coscienza se la possibilità che lui prevede del non-quorum sia tale da giustificare la frustrazione dei costi del referendum. Dire: "se tutti facessero così…" non mi pare un argomento valido, sia pro sia contro.
Quindi mi pare che il sig. N.M. può comportarsi come crede in coscienza.Ci tengo però a dire che quanto sopra vale per l'attuale referendum e per il complesso delle circostanze piuttosto particolari che l'accompagnano; vale comunque anche per altre analoghe occasioni. La morale cristiana infatti da' criteri, più che applicazioni e norme; non e' mai moralistica.
Tant'è vero che io, pur con notevoli disagio e sacrificio, andrò a votare. Ma ciascuno deve rendere conto a Dio delle proprie scelte, fatte in coscienza nel rispetto di detti criteri.Restano comunque validi i criteri esposti nella mia predica di Pasqua.
E a chi m'ha manifestato la perplessità (uno addirittura con un orribile "porco…", che gli ha meritato solo una mia risposta "A che serve?"), che per la Pasqua si poteva parlare d'altro che del dovere di votare, faccio presente che la Pasqua e' "passaggio" dell'angelo sterminatore e, successivamente, del Mar Rosso e Gesu' ha scelto quella circostanza per celebrare il suo mirabile passaggio dalla morte alla vita, perché tutti noi lo seguiamo.
E questa era ed e' un'occasione per seguirlo come società.