LE PIAGHE DI GESÙ E LA MIA PASQUA di don Giuseppe Marino

…e la Divina Misericordia….

12/04/2015

Siamo nella 'sera di quel giorno, il primo della settimana' (Gv 20,19): la Chiesa prolunga e contempla il mistero della Risurrezione del Signore per tutti gli otto giorno dopo la Pasqua perché si tratta del mistero centrale della nostra fede, dal quale dipende la nostra vita terrena ed eterna; ma anche perché c'è un riferimento chiaro ed esplicito al compimento della Creazione nella Redenzione: il settimo giorno infatti è il giorno del riposo di Dio e l'ottavo, di conseguenza, è il giorno dell'ingresso dell'uomo nel giorno di Dio, cioè nell'eternità. La risurrezione infatti, è quella condizione per cui il cristiano partecipa, fin da ora, alla vittoria di Cristo sulla morte.

Se nel giorno di Pasqua abbiamo contemplato il mistero della Risurrezione del Signore Gesù, la seconda domenica di Pasqua, domenica della Divina Misericordia, ci spiega in cosa consiste il mistero della nostra Risurrezione. E lo fa attraverso l'esperienza dei discepoli nel cenacolo e, soprattutto, attraverso Tommaso. Sono diversi i temi che in questa domenica si intrecciano: il dono dello Spirito, la pace, il perdono, la fede...ma tutti vanno in un'unica direzione. Andiamo con ordine.

La sera di Pasqua, tutti i discepoli riuniti nel cenacolo, tranne Tommaso che era assente, fanno esperienza del Risorto. È un'esperienza personale che fa loro assaporare il perdono e la pace che da esso ne scaturisce. Questa è la prima conclusione fondamentale: non si può conoscere Gesù Risorto per sentito dire. Conoscere Gesù vuol dire avere un'esperienza personale di Lui che coinvolge in prima persona tutta l'esistenza credente. Per questo Tommaso non crede. Perché lui non c'era. Allora ci sorge una domanda: come posso io fare esperienza di Gesù Risorto nella mia vita? Questo ce lo spiega proprio Tommaso.

Tommaso era assente il giorno di Pasqua e, al suo rientro nel cenacolo, dinanzi agli altri dieci che cercano di convincerlo della loro esperienza del Signore Gesù, giustamente obietta: 'Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo' (Gv 20,25). E Gesù apparirà a lui proprio con i segni della Passione: la Risurrezione di Gesù infatti, non cancella la sua Passione. Allo stesso modo, anche la nostra Risurrezione non cancella la nostra Passione: è impossibile fare esperienza del Risorto nella nostra vita, senza passare dal segno dei chiodi e dalla lancia. Anzi, il segno che la Croce lascia nella mia vita diventa l'unica strada possibile perché io possa incontrare Cristo.

Quando avrò il coraggio di mettere le mie mani nell'assurdo della mia vita, nelle ferite che ho ricevuto e in quelle che ho procurato, nelle mie fragilità, nei miei peccati, nelle mie cadute, negli abbandoni, nel buio che mi opprime, nella solitudine che mi spaventa, solo lì incontrerò il Signore Gesù Risorto. Perché quelle piaghe sono le Sue piaghe. E lo incontrerò personalmente. Si, perché questa non è un'esperienza delegabile ma deve essere la mia esperienza. L'esperienza della Pasqua è questa: vedere le ferite della mia vita, per l'amore di Dio, diventare strumento di salvezza. Nonostante la mia povertà Dio mi è accanto, mi libera e mi salva; nella la mia povertà Dio mi ama. È l'esperienza della misericordia; è l'esperienza del perdono; è l'esperienza della pace, è l'esperienza dello Spirito; è l'esperienza personale della Risurrezione.