La nostra conversione, il nostro cambiamento, è un'opera di Dio. Da dove parte? Generalmente da un fallimento. 'Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea' (Mc 1,14). Per chi si fida del Nazareno, ciò che sembra la fine, in realtà rappresenta un inizio. Il vangelo ci parla della fine di una missione, quella del Battista. Potrebbe seguire tristezza, sconforto, angoscia. Dio, invece, trae sempre il bene dal male. La furia violenta di Erode che sfocia nell'arresto e nell'uccisione del Battista, apparentemente segna una fine. Per Dio non è così. Da lì Gesù parte. Così è sempre, anche con noi. Non c'è fallimento tale da arrestare il disegno di Dio. Anzi, molto spesso è necessaria l'esperienza della propria fragilità perché Dio abbia via libera, perché Dio entri nella nostra storia per trasformarla.
Così Gesù inizia la sua missione di proclamare il vangelo di Dio, cioè una buona notizia. La buona notizia è che il tempo è compiuto e che il Regno di Dio è vicino. Non è una profezia di sventura; non si sta annunciando la fine del mondo. Si tratta di una vicinanza spaziale. Non è l'annuncio del giudizio universale che verrà alla fine dei tempi, ma di un fatto, di un avvenimento: Dio è accanto a te, ti è vicino. Questa vicinanza è l'unica presenza che riempie il tempo, lo compie, lo rende pieno, bello. Se non c'è il regno di Dio nella mia giornata, regna l'anarchia, si gira a vuoto, senza punti di riferimento.
Qui sorge la domanda: chi regna nella mia vita? A chi mi sto legando per vivere? A chi o cosa chiedo vita? Noi siamo fragilità e perciò su qualcosa o qualcuno fonderemo certamente la nostra esistenza. Se la mia vita è piena, se il mio tempo è compiuto, certamente è Dio il nostro fondamento. Se regna l'insoddisfazione, se non sperimento pienezza, sto sbagliando appoggio.
Essendo tale compimento un dono di Dio, la notizia felice, il vangelo appunto, è che ogni uomo è capace di Dio. È possibile che ognuno abbia Dio come riferimento perché Lui entra nella storia per tutti. Non per i nostri meriti ma per un dono del suo amore. Perché Dio non si merita. Si accoglie.
Questa irruzione di Dio che si dona, rende possibile la conversione. Io divento capace di convertirmi. Non per un mio sforzo di volontà, ma perché Dio è vicino. È Lui la forza di attrazione che mi permette di voltare il capo, cambiare mentalità. Ogni uomo ha la necessità di dover cambiar mentalità. Ci sono tantissimi pensieri negativi che avvolgono la nostra mente e ci portano a perdere la speranza, ci arenano sulle spiagge del vittimismo, nei sensi di colpa. Quando la nostra mente e i nostri pensieri sono riscaldati dall'amore di Dio, siamo immediatamente condotti ad abbandonare ciò che è buio, confuso, becero, falso per aprirci alla luce, alla novità, alla grandezza, alla verità del vangelo.
Tutte queste belle cose sarebbero solo parole se Gesù non le rendesse storia viva, attraverso la chiamata dei primi quattro discepoli, Andrea e Simone, Giacomo e Giovanni. La vocazione, ogni vocazione, è l'incarnazione della dinamica della conversione annunciata dall'evangelista Marco nella prima parte della pagina del vangelo di questa domenica.
All'ordinaria quotidianità di quattro pescatori, Gesù propone una nuova missione che darebbe pienezza alla loro vita: 'Vi farò pescatori di uomini' (Mc 1,17). Resteranno pescatori. Perché Dio agisce così: non mi annulla, non cancella la mia storia ma la perfeziona, la finalizza a qualcosa di più grande. La loro quotidianità di pescatori diventa qualcosa di più grande per qualcun altro, per coloro ai quali saranno mandati. Il loro unico compito è quello di seguire. Non saranno loro a realizzare questo bel disegno. È Gesù che assicura: 'Io vi farò' (Mc 1,17). A loro, e a noi, è chiesto solo di fidarci di Lui, che vuole dare pienezza alla nostra esistenza.
don Giuseppe Marino
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