TRE VERBI IMPERATIVI … di mons. Giovanni Battista Chiaradia

….vattene, cammina, raggiungi…

16/11/2014

Prendo come tema della riflessione di oggi il passo della Genesi 12,1-3 dove il Signore chiama Abramo e gli ordina di andare nella terra promessa. Tre verbi, tre imperativi: “Vattene”, “cammina”, “raggiungi”.

Parole severe, preoccupanti, ma avvaloranti questa creatura umana che tende a sedersi stanca, che è pronta ad abbracciare come filosofia, parole che hanno la dimensione dell’angoscia, della disperazione, della solitudine esasperata ed alienante.

La risposta a quel comando di Dio può essere entusiasta come quella di Isaia, paurosa come quella di Geremia, titubante come quella di Ezechiele che si sente ripetere tante volte dal Signore: “Figlio dell’uomo alzati” e finalmente il profeta si alza e inizia il suo cammino.

Per camminare speditamente, che cosa ci vuole? Il termine è la “leggerezza”, che significa quello che il Vangelo raccomanda per l’Apostolo: di non avere niente che possa impedire il cammino, neppure la camicia di ricambio, tanto meno la borsa contenente, per lo più, il denaro che potrebbe diventare diabolico, solo il bastone è consentito per aiutarsi nelle asperità del cammino che sono tante, pericolose, insidiose.

Capisco che oggi è difficile vivere così, ma bisogna tentare di essere leggeri per camminare sciolti da tutto ciò che impedisce il nostro essere: che dovrebbe impersonare il Maestro, il quale aveva solo se stesso per sanare la storia.

Che cosa portare dunque nel nostro quotidiano. Prima di ogni cosa direi di portare la propria cultura, creata nella testa (ed avvertita nell’animo), non tanto da libri quanto dall’intuizione del proprio ruolo nel quotidiano: essere uomini, padri, madri, insegnanti, medici, operai… Allora, con questo modo di vivere e di pensare, si porta se stessi come libro da imparare a memoria e poi tradurlo nella vita di ogni giorno.

Oltre la cultura si porta il proprio tormento per essere migliori, la propria mente sempre rinnovata, il proprio cuore sempre pronto ad aiutare, ad alleviare, salvare e poi la propria arte, la propria poesia.

E naturalmente, per chi è cristiano, il proprio Battesimo, la propria Cresima, con la corazza della Fede, della Carità, avendo come elmo la Speranza della salvezza, come dice S. Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi. Nella memoria dei Sacramenti della nostra gioventù, diventiamo forti per il nostro cammino, oggi, spesso, aspro e ripieno di enormi difficoltà.

Capire, far entrare nel nostro quotidiano che il Verbo si è fatto carne e ripeterlo nel nostro dire e fare non sarà facile. Direi quindi: poca poesia, poche parole.

Davanti a tutti noi il percorso è complicato. Bisogna camminare con Lui, non da soli: averlo a fianco è la nostra salvezza.

Giovanni Battista Chiaradia