Spiritualità è il complesso delle diverse attività del pensiero che si differenzia dalla realtà materiale.
La parola, l’arte, la scienza, la civiltà, la religione appartengono alla spiritualità. La persona è spirituale se ama la cultura, se ama conoscere cioè sempre più, o meglio, la cultura. A questo punto la spiritualità si incunea nel mistero e nasce un altro vocabolo: l’ascetica, o meglio l’ascesi, il guardare in alto.
I greci distinguevano una duplice ascesi: quella fisica praticata dai soldati che si esercitavano nel maneggio delle armi e quella degli atleti che si preparavano ad irrobustire il corpo con uno speciale regime di vita non solo fisico, ma anche morale, che consisteva nello studio della filosofia, dell’arte, del pensiero alto per raggiungere la virtù, intesa come tipo di vita di una moralità ineccepibile, per entrare nella “teodicea”, studio dell’olimpo dove abitavano gli dei.
Negli scavi geologici in Grecia, a Roma e altrove, troviamo infatti tombe che parlano degli dei dell’Olimpo e iscrizioni su pietra che insistono nel tema della virtù ottenuta con lo studio della filosofia, dell’arte, del pensiero alto. Il vocabolo “virtù” appartiene specialmente a Socrate e a Platone.
Per il primo, “virtù” è il complesso di pensiero e parola per vincere l’ignoranza ritenuta principio di ogni male e molto pericolosa per l’individuo e per la società. Nell’ambiente cristiano il concetto di virtù non riveste grande importanza. La parola “virtù” compare una volta sola in Paolo nella lettera a Filemone 4,8 nel concetto di nobiltà d’animo.
Nelle lettere degli Apostoli, invece, hanno una certa importanza gli elenchi delle virtù dei cristiani e i vizi dei pagani. Paolo, con tutta semplicità, esorta i cristiani a cercare di seguire tutto ciò che è buono e giusto, onorato, amabile nella letteratura romana e accoglie il loro concetto di coscienza (Rom 2,14).
C’è da notare che il Nuovo Testamento non conosce la distinzione di Aristotele tra virtù pratica e virtù teoretica. La virtù nella Bibbia è un costitutivo essenziale della persona in tutto il suo dire e fare nel quotidiano, tanto che la persona virtuosa è perfetta. Interessante sapere che le virtù che appaiono nei catechismi nella loro formazione sono proprio quelle della cultura dell’antica Grecia, di Platone e, tra i romani, di Cicerone.
Per Aristotele e Cicerone le virtù non servono per un fine esterno come lo Stato e la religione. Le virtù sono intese come percorso dell’anima, per realizzare la “eudonomia”, cioè la felicità e la sicurezza di se stessi in tutto ciò che è bello e buono.
La Bibbia sembra rifuggire dalla concezione greca troppo intenta ad evidenziare il merito dell’uomo. Il Vangelo spesso non lascia alcun spazio al vanto dell’uomo che si stente perfetto e sicuro e ricorda invece che tutto il bene che è nella persona è dono di Dio, frutto del Suo spirito.
Giovanni Battista Chiaradia