È l’anno della fede: ma dentro di noi c’è la fede che ci distingue?
Della fede in Dio ci sono molte definizione che tralascio.
Mi riferisco piuttosto al “luogo” dove maggiormente è nata la fede che ha spinto Abramo, Mosè, i profeti a vivere puntando sulla liberazione dell’uomo e alla sua realizzazione.
Espressivo è il linguaggio ebraico dell’Antico Testamento: termini primitivi, ma incisivi per esprimere in modo esistenziale, cosa voglia dire “credere”.
Da essi deriva la parola complessiva di tutti i significati che troviamo in san Paolo: è la “pistis” (in greco) che comporta in modo particolare fiducia e speranza in Dio come nell’Antico Testamento, ma soprattutto stabilisce una solidità di vita e di destino con Cristo risorto, sia nel presente sia in futuro nella vita eterna…
Ma il cammino di fede più connaturale all’uomo in dubbio sulle cose che non vede e che non avverte con i sensi, è indicato dal Vangelo di Giovanni. I primi discepoli incontrano Gesù, rimangono presso di Lui, fanno “quella” esperienza di vita, comprendono e “credono”.
Così quando i discepoli di Giovanni Battista domandano a Gesù chi mai sia, Gesù soddisfa la loro curiosità con un “Venite e vedrete” Gv 1,39.
“Vieni e vedi” è l’invito che Filippo indirizza a Natanaele Gv. 1,46.
“Vieni e vedi” vuol dire fare silenzio dentro e fuori di sé, oppure anche restare nel tumulto delle paure e delle gioie del mondo, ma provare a scoprire nei meandri della coscienza o subcoscienza o in un filo d’erba o nel viso di un bambino o in un malato o in una bara che ti passa accanto, se, per caso, se per probabilità, non ci sia una presenza che sia “LA PRESENZA”. Riscoprire quella “Presenza” significa entrare nella strada della fede.
C’è posto nel nostro cammino?
C’è un “luogo della fede” nella persona moderna?
C’è senz’altro in noi, in tutti: per alcuni quel luogo è pieno di luce, per altri è avvolto nel crepuscolo, per altri ancora è un alternarsi di lampeggi e tuoni in uno sfondo di tenebre. Ma c’é. E diventa sicurezza quando, anche nel buio, ti ci aggrappi, invocandola, come nella Bibbia nella sua preghiera finale, espressa in aramaico, che era la lingua di Gesù: “Marana tha”: “Vieni, Signore” Ap. 22,20.
Dio che attende quella libera chiamata, viene senza dubbio: è sempre venuto a spiegarci il perché di quello che da soli non riusciremmo mai a capire.