Nell’Eucarestia di questa domenica i cristiani sono provocati a riflettere, con serietà e in prima persona, su una grande tentazione denunciata dal Vangelo, come pure dalle altre letture bibliche che vengono proclamate: la tentazione del potere con conseguente seguito di arrivismo, dominio, prepotenze, sgambetti e oppressioni di ogni tipo.
Si tratta certo di una tentazione che non è solo dei cristiani ma anche di chi non crede o crede in altre religioni, insomma di tutti noi, uomini e donne.
Non desidero qui fare una sintesi completa e organica di questa tentazione con tutte le possibili varianti e conseguenze personali e sociali, nella società civile e nella vita stessa della Chiesa.
Si, anche della Chiesa (a tutti i livelli), come spesso denuncia e richiama con fermezza il nostro Papa Benedetto XVI, di cui riporto qui alcuni interventi:
a) Parlando di San Domenico scrive:“Ordinato sacerdote, fu eletto canonico del capitolo della Cattedrale nella sua diocesi di origine, Osma.
Anche se questa nomina poteva rappresentare per lui qualche motivo di prestigio nella Chiesa e nella società, egli non la interpretò come un privilegio personale, né come l’inizio di una brillante carriera ecclesiastica, ma come un servizio da rendere con dedizione e umiltà. Non è forse una tentazione quella della carriera, del potere, una tentazione da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo nella Chiesa?”
b)Nella omelia in occasione della Ordinazione episcopale di cinque Vescovi (12 Settembre 2009) dice:“Non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Sappiamo come le cose nella società civile, e, non di rado nella Chiesa, soffrono per il fatto che molti di coloro ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità”.
Qui vorrei semplicemente suggerire alcuni punti fermi della Buona Novella (della buona notizia!) di Gesù su questo tema.
1.Gesù insegna ai suoi discepoli: “Il Figlio dell'uomo sarà consegnato nelle mani degli uomini ed essi lo uccideranno; ma egli risorgerà dopo tre giorni”: cioè il Figlio di Dio non salverà l’uomo con la prepotenza e con la forza, ma servendoli e donandosi loro con un amore totale che giunge sino a dare la vita per tutti gli uomini.
“Ma i discepoli non capivano queste parole e avevano paura di interrogare Gesù”.
Meschino e infame, molto spesso è così il cuore dell’uomo.
Questa è la vita dell’uomo e del nostro vivere sociale!
“Non si tratta di una incomprensione intellettuale, ma affettiva, esistenziale, di visione della vita.
Non le comprendono perché il loro cuore e la loro mente sono lontano dal cuore e dalla mente di Gesù; percorrono la stessa via, la stessa strada, ma vivono come in mondi diversi”, scrive un commentatore.
E in questo senso i discepoli discutono tra di loro … e, scoperti da Gesù che legge nei loro cuori e li interroga suoi loro pensieri, invitandoli a renderli coscienti e verbalizzati, se ne vergognano immensamente e non trovano nemmeno il coraggio di dire il loro pensiero e “sentire interiore” esplicitamente e apertamente.
2. Questa reazione che traduce una incomprensione e una lontananza vitale di chi è stato da Gesù stesso scelto e particolarmente “catechizzato” ed educato, ha tutto il sapore di una sconfitta che dovrebbe non solo deludere, ma addirittura scoraggiare e deprime il Maestro: si tratta davvero, almeno apparentemente, di un vero e proprio fallimento educativo.
Gesù invece con una calma inaspettata e che meraviglia, ma che rivela una generosità misericordiosa e una infinta sapienza del cuore, si siede con loro come per dire: parliamoci con calma, con bontà ma con chiarezza e senza complessi e sottintesi, più o meno maliziosi e tendenziosi, oltre che aggressivi e causa di contrapposizioni dolorose e umilianti.
È il miracolo di un vero e sapiente educatore, di genitori lungimiranti e generosi: lui non vuole punire o correggere con la violenza e la forza di una autorità che viene dal di fuori: amandoli infinitamente, vuole far crescere dal di dentro e far diventare adulti e responsabili i suoi discepoli.
Desidera che si trasformino in persone generose e capaci di completa donazione, cioè di vero amore.
3. “Se uno vuol essere il primo, deve essere l'ultimo di tutti e il servitore di tutti”.
Scrive un commentatore:Per “servitore” non troviamo il termine “doulos”, ossia lo schiavo, colui che non è libero, ma è proprietà di un altro; troviamo invece il termine “diakonos”, che spesso indica colui che serve a tavola, che controlla che i commensali siano curati bene.
Servitore connota l’atteggiamento “di chi è attento allo star bene dell’altro, di chi si rende conto di che cosa è necessario all’altro e s’impegna attivamente per questo.
Tale atteggiamento attivo il servitore di tutti non lo deve riservare a una in qualsiasi modo ristretta cerchia, ma lo deve estendere a tutti quanti hanno bisogno del suo aiuto e a quanti egli può aiutare” (K. Stock,Marco, ed. ADP, p. 184).
Ed ecco la meta da raggiungere, rivoluzionaria e sconvolgente per la nostra umana natura, certamente ferita e impoverita dal peccato (egoismo, dominio, violenza …): “Se uno vuol essere il primo, deve essere l'ultimo di tutti e il servitore di tutti”.
Non è perdersi: bensì è conformarsi, con una quotidiana e fedele attenzione e conquista, al nostro unico Maestro e “Tutto”: il Cristo crocifisso e risorto!
E arrivarci con la spontaneità felice e tenerissima di un bambino!
Ancora una volta, di fronte a questa pagina del Vangelo, è doveroso riconoscere che il vero problema dei discepoli, e di noi tutti, dobbiamo ammetterlo, è quella di non voler abbandonare l'immagine rassicurante di un dio a misura degli uomini, costruito sulle loro aspettative di potenza e di gloria, che non può conoscere la morte e la sconfitta.
Dobbiamo arrenderci ad un Dio inaspettato e meraviglioso che ci sorprende, ci provoca e ci affascina rivelandosi, davvero e solo Lui, consono ai sogni più profondi dei nostri cuori, che noi stessi non abbiamo il coraggio di ammettere e realizzare con il coraggio di cambiare davvero tutto.
don gigi di libero sdb