La preghiera - di Mons. Giovanni Battista Chiaradia

Ricchezza della mente e ristoro dell'anima

14/06/2008
Preghiera è la parola più ricca di significati di tutto il vocabolario.
Forse qualche laico irriducibile sorride incredulo.
 
Gli faccio osservare che la preghiera non nasce solo dal concetto di religione: è la caratteristica primaria dell’«homo sapiens» che esamina, curioso, ciò che egli è attorno e indaga, chiede, ed infine si interroga su ciò che incontra nel passo, nella pioggia che gli bagna il viso, nel cielo che si illumina o si imbroncia, nel fulmine, nel tuono e specialmente nell’altro, nell’altra e ne sente il fascino o la paura.
Allora canta, piange, parla e ascolta e trova la risposta da un can che abbaia, o da un canarino che canta, o dal ruggito di un leone, o dallo sbruffo di un rettile.
 
Pregare, dalla lingua greca, è «aitein», significa semplicemente domandare, inquisire con insistenza, sollecitare qualcuno a rispondere per placare il suo desiderio di sapere e quindi conoscere che e che cosa gli sta dintorno.
Il sostantivo «aitema» compare in Luca (24,25), tradotto con «domanda insistente» degli scribi e dei sacerdoti che chiedevano la morte di Gesù.
 
Il «domandare», nel bene e nel male, non si ferma mai nella mente dell’uomo: è un’esigenza del bello e del brutto che domina la coscienza.
La lotta interna della creatura umana sta in questa scelta: l’insistenza continua del si e del no che la mente deve scegliere. E sceglie il positivo solo se è abituata a «chiederlo» sapendo che il negativo, cioè il male, pone la sua persona nella sfera della cattiveria e della delinquenza.
Nelle continue domande che si intrecciano nella strada dell’umanità, che conducono verso il sublime o verso l’orrido, senza che se ne accorga, l’individuo si trova di fronte a Dio e di fronte al nulla.
 
È il momento della scelta.
La scelta che disegnerà il futuro della persona: il sublime o l’infimo, l’uomo giusto o l’insicuro, il dubbioso, l’indeciso…
La preghiera, come «semplice domanda», in questo momento deve scegliere: a chi domandare e che cosa domandare?
 
Nella Bibbia i Salmi evidenziano questo stato d’animo, tra il bene e il male nella coscienza e negli avvenimenti della giornata raccontati in un ventaglio ampio e vario che tocca tutti i «silenzii di Dio» che sono solo apparenti, perché l’aiuto ci sarà.
 
Nei Salmi la supplica non finisce mai con il grido del malato o del perseguitato, ma con il ringraziamento.
C’è un fatto curioso nel significato della parola «preghiera», secondo il greco della Bibbia.
Preghiera deriva direttamente dal latino «precarius» = ciò che dipende dall’altrui volere. Sentite questa espressione di Tacito: «precariam animam inter infestos trashere» = vita esposta al furore di ognuno.
È il nostro quotidiano: viviamo una vita precaria, insicura, incerta, cagionevole: basta poco e ci sentiamo male.
Sottoposti a pericoli e delinquenza, a disattenzioni.
A te, papà, non è mai capitato che il tuo frugoletto di tre anni, che frequentava l’asilo, quel giorno ti volesse mostrare il suo disegnino che riprendeva il tuo viso, in verità l’aveva disegnato più verosimile ad un’oca che ad un uomo, e tu non gli hai fatto festa perché avevi fretta? Sai perché?
Perché non volevi perdere la partita alla Tv e lui, poverino, ti ha puntato addosso due occhioni lacrimosi per cui ti sei sentito uno straccio, il più «precario» del mondo.
Mons. Giovanni Battista Chiaradia