La vite e i tralci - di P. Giuseppe Pirola sj

Dio è un pensiero inutile, quanto i raccontini di Gesù?

09/05/2009
Quando Gesù doveva parlare di cose difficili, ricorreva a paragoni o a raccontini, presi dalla vita quotidiana, per farsi capire bene da tutti. Purtroppo questo paragone della vite e i tralci è legato non all’odierna viticoltura industrializzata, ma alla viticoltura di un povero contadino o di un povero vignaiolo, che aveva una vigna nel suo campicello, e capiva bene che cosa volesse dire la vite la cui linfa vivificava il tralcio e lo rendeva fecondo di tanta uva, il lavoro di potatura della vite, per togliere i tralci secchi, da buttare sul fuoco, e per curare quelli buoni perché portassero più frutto o uva in maggiore quantità e di maggiore qualità, per cavarne vino prima per il consumo e la gioia familiare del viticoltore e della sua famiglia, vendendo il surplus come merce di scambio per fare qualche soldo in più. Ma di che cosa parlava Gesù, parlando di vigna, vite e tralci?
Il profeta Isaia parla di quella vigna di Iahveh che è il suo popolo eletto, paragone sviluppato da Marco (cap. 12, 1ss.) in un passo del vangelo dove l’invio di profeti da parte di Iahveh a Israele è paragonato a una visita ai vignaioli, (metafora dei capi religiosi del popolo ebraico(, per raccogliere i frutti della sua vigna, frutti di fedeltà del popolo all’alleanza con Iahveh; la visita culmina nell’invio del Figlio prediletto Gesù, l’erede della vigna, che i vignaioli invece uccidono per tenersi la vigna di Iahveh e cioè il popolo di Israele.
Di qui si sviluppa il senso del brano di Giovanni, che riguarda il rapporto tra Dio e il popolo cristiano, di cui gli apostoli sono i vignaioli. La vite vera è Gesù, quella che trasmette la propria linfa vitale ai tralci o a tutti i cristiani, perché tutti vivano della sua stessa vita di grazia di cui è la fonte. Vignaiolo è Dio Padre che genera nel Figlio suo incarnato la vita per gli uomini, che Gesù trasmette a tutti; e che il vignaiolo cura, tagliando tralci sterili o morti, potando quelli vivi e fecondi, affinché la vita cristiana di ciascuno di noi sia apostolicamente sempre più feconda, a lode dello stesso Dio Padre e del suo amore per gli uomini.
 
Al di là del racconto e della similitudine, Gesù ci porta fino all’origine e fonte prima della vita cristiana, che non per nulla si chiama vita divina, perché Dio Padre è la prima fonte di essa e la trasmette al Figlio suo incarnato per noi, non solo per la nostra salvezza, ma per la fecondità apostolica della vita cristiana di ciascuno e di tutti noi. Siamo portati lontani dalla vita quotidiana con i suoi problemi e fastidi, con le sue preoccupazioni e tentazioni? Siamo portati troppo in alto, perdendo contatto con la terra, dove noi teniamo i piedi, per fare voli celesti, per vivere momenti anche belli, consolatori, ma che ci distraggono dalla vita quotidiana, dalla sua durezza, senza risolvere i nostri problemi di quaggiù? Se spingo oltre la domanda arrivo all’errore plateale: Dio è un pensiero inutile, quanto i raccontini e le similitudini di Gesù?
Oppure: crediamo proprio che l’uomo si riduca a un pedone che cammina a stento o striscia su questa terra, come un povero bruco o come un furbo serpente, limitato al punto da avere una sola dimensione che lo apre alla terra e ai problemi terreni, un mortale destinato a morte e a finire in niente, dopo tanto agitarsi per problemi terreni? Non di solo pane vive l’uomo; e il vino non è solo il prodotto dell’uva. Insieme al pane il vino è l’eucarestia che tiene insieme la nostra vita da due capi, da un lato il fondo della nostra anima, la radice della nostra intelligenza e libertà, che ci apre al mondo e apre il problema del senso realizzabile della nostra vita terrena, e dall’altra si estende e ci congiunge per sempre, se liberamente crediamo, all’altro estremo che è Dio, il Padre di Gesù Cristo che ci libera dal peccato e dalla angoscia di morte, ci svela il volto degli altri, i nostri fratelli, e ci fa vivere in un rapporto di carità fraterna con la natura e gli altri. È attraverso questo filo di comunicazione che passa la linfa della vita divina tra Dio e noi; e in questo circuito aperto che sta il nostro rapporto liberatorio da peccati e paure con il mondo e con gli altri.
Due sono gli inviti che Gesù fa ai suoi apostoli e a tutti noi. Chi rifiuta di fare suo e vivere questo rapporto di comunicazione tra Dio e gli uomini, diventa un tralcio secco, per sé e per gli altri, brucia la sua vita. Senza questo contatto non potete fare nulla, dice Gesù, e finirete gettati nel fuoco come il tralcio secco. A rovescio, dice Gesù, se rimanete in me o in contatto con me, potete invece produrre molti frutti di una vita buona e ricca di frutti, saporosi e vitali come il vino di un’uva sugosa. Fuori immagine: Chi non prega, chi non riceve pane e vino nell’Eucarestia e non sta in comunicazione con Dio, si agiterà molto, farà molte cose, meno l’unica necessaria perché la sua vita di fede sia sempre più robusta, la sua testimonianza di fede sempre più luminosa e il suo apostolato sia sempre più fecondo. Ma non dimentichiamo l’altro monito: chi non scopre e non fa suo nel fondo della sua anima l’invito a entrare in comunicazione con Dio, non conosce neppure sé stesso e rinchiude la prospettiva della sua vita entro l’orizzonte di un destino mortale, anziché aprirla anche sull’oltre muovendosi liberamente in questa stessa vita terrena.
Rimanete in me, rimanete nel mio amore; chi rimane in me porta molto frutto. Santa Teresa d’Avila ha creduto a questa parola del Signore, detta ai suoi apostoli nell’intimità del cenacolo, la sera dell’eucarestia, prima della sua passione e morte in croce. E proprio per questa intima unione con Dio, vissuta in fedeltà ha conosciuto le meravigliose profondità di questa intima comunicazione d’amore con Dio, e ha potuto riformare la vita religiosa delle suore carmelitane, rendendo un servizio all’umanità in un tempo in cui la pratica della vita di fede stava decadendo. Non diventeremo tutti grandi mistici come Teresa d’Avila, ma è possibile anche a noi rendere libera, serena e feconda la nostra vita terrena, se staremo in contatto continuo con Dio nell’eucarestia e nella preghiera eucaristica. E insieme a Dio scopriremo la profondità reale del nostro essere di uomini, il raggio della nostra esistenza in tutta la sua estensione, nel fondo della nostra anima, dove Dio ci vuole incontrare per essere in noi sorgente di vita nuova personale e sociale. Chi non crede, faccia la prova su di sé. A nuotare si impara solo nuotando, e anziché avere paura dell’acqua, si finisce con il muoversi liberamente nell’acqua e a godere dell’acqua.
 
P. Giuseppe Pirola sj