Le quattro Pasque di Gesù - di Mons. G.B. Chiaradia

La cena ebraica come cornice della vera Pasqua cristiana

16/03/2009
La Pasqua ha due momenti nella storia della fede: la Pasqua ebraica e la Pasqua cristiana.
La tradizione ebraica si innesta in quella cristiana e si sviluppa nella speranza del popolo ebraico che cerca la libertà nella liturgia dell’agnello, simbolo del sacrificio e dell’offerta a Dio per il perdono dei peccati.
È la cena ebraica che offre la cornice per la comprensione della pasqua di Gesù.
 
La prima Pasqua di Gesù è raccontata nel Vangelo di Luca (2,41-50):
«I genitori di Gesù erano soliti andare a Gerusalemme, ogni anno, per la festa della Pasqua. Quando Egli ebbe 12 anni vi salirono secondo l’usanza della festa».
Il numero 12, nella identità ebraica, indica la pienezza: 12 i mesi dell’anno, 12 le tribù di Israele, 12 gli Apostoli…
Così nella storia antica, come nella moderna, il 12 indica la pienezza della fanciullezza e l’inizio della gioventù con le sue responsabilità.
A 12 anni Gesù avverte che deve assumersi le prime responsabilità e decide, senza avvisare i Genitori, di incontrarsi, da solo, con i dottori del tempio per un confronto.
Maria e Giuseppe «angosciati» lo cercano.
La risposta di Gesù dimostra sicurezza e responsabilità: «Perché mi cercavate, non sapevate che io mi devo occupare delle cose del padre mio?».
Così Egli inaugura, con questa risposta, un nuovo tempo in cui si sente protagonista.
 
La seconda Pasqua avviene sul lago di Tiberiade (Giov. 6,1 ss):
«Era prossima la Pasqua dei Giudei e la folla lo aveva seguito perché vedeva i “segni” che faceva sui malati».
Erano segni di fraternità, di aiuto, di conforto ed anche di guarigione istantanea.
Lo seguivano da giorni ed ora avevano fame. Soltanto un ragazzetto aveva con sé cinque pani e due pesci e pensa di donarli a Gesù e Gesù inizia a spezzare quel pane, mentre la folla si mette in fila nella speranza di averne un pezzo.
Ed ecco il prodigio. Quel pane, nelle mani di Gesù, non finisce mai e i cinquemila ora sono seduti sui prati e mangiano quel pane e forse non s’accorgono neppure del prodigio, tanto lancinante era la fame. Anzi, qualcuno ha il coraggio di domandarne ancora un po’, assieme ai pesci.
Anche i pesci non finiscono mai in quelle mani misteriose.
Gesù è scosso da quel prodigio, ma non tanto, dato che si ricorda che a 12 anni, nella prima Pasqua, aveva avvertito di «essere partecipe delle cose di Dio».
 
La terza Pasqua a Betania nella casa di Lazzaro, che aveva risuscitato dai morti (Giov. 11 e 12).
Qui avviene un gesto profetico: Maria, sorella di Marta e di Lazzaro, improvvisamente si inginocchia ai piedi di Gesù e li unge di un balsamo profumato, il nardo e li asciuga con i suoi capelli. «La casa fu ripiena della fragranza di quel profumo».
Giuda il traditore: «Perché non si è venduto il profumo per trecento danari e non si è dato il ricavato ai poveri?».
«Lasciala fare, risponde Gesù, piuttosto lo doveva conservare per la mia sepoltura. I poveri li avrete sempre con voi, invece non potete avere me sempre…».
 
Ed ora è già aperto lo scenario della quarta Pasqua: la Cena con gli Apostoli, il dono del pane, tutto diverso da quello donato alla folla a Tiberiade, le erbe amare…
Finita la cena, cammina solenne nell’orto degli ulivi; la paura gli spezza le vene del viso, che s’inonda di sangue (Lc. 22,43).
La Pasqua giudaica, col sangue dell’agnello, si illumina e si completa col sangue di un ebreo: «Gesù, l’atteso Messia, il Cristo».
Mons. Giovanni Battista Chiaradia