Quaresima: tempo di meditazione anche per i Sacerdoti - di Mons. G.B. Chiaradia

Il senso ultimo del servire è donare interamente se stessi

15/03/2009
Il nostro quotidiano deve cercare di assomigliare sempre più al quotidiano del Signore Gesù. Specialmente quando si avvicinano i tempi forti del Natale con l’Avvento, della Pasqua con la Quaresima e della Pentecoste.
Vivere assieme a Lui soggettivamente.
Noi siamo persone del culto, del servizio di Dio, che non si compie soltanto in un rito oggettivo, bensì nell’obbedienza personale alla voce del Signore che si esprime, nella vita di Gesù, nelle sue parole e specialmente nella sua vita quotidiana fino alla Croce e alla Resurrezione.
Nell’Antico Testamento il culto si esprimeva solo in una vita morale, come appare spesso nel Deuteronomio (cap. 6): Come nell’Antico Testamento, anche nel tardo Giudaismo e tuttora nell’Ebraismo, il culto è la persona, serva di Dio.
«Abad» = servo ha uno specifico carattere culturale.
 
Nei tempi precristiani e all’inizio del Cristianesimo, la parola servo, servire, indicava un asservimento agli altri, un qualcosa di penoso da rifiutare. Giustamente la predicazione cristiana ha dovuto tener conto della avversione che devasta questa parola.
Per l’uomo greco l’insistenza sul «diakonein», cioè sull’atteggiamento e sul modo di vivere degli strati inferiori, invece che sul «leuturhein», cioè sul nobile onorato servizio in funzione del bene comune, non poteva che apparire scandaloso.
Ed è invece proprio sul «diakonein» che insiste il Cristianesimo, rivelando uno spostamento di accento: servirsi gli uni gli altri, dare la precedenza all’altro, vivere per gli altri.
Ecco il contrassegno dell’esistenza cristiana.
E questo per esempio e gratitudine verso Dio che si è piegato all’uomo con misericordia e amore.
Da quando Cristo ha dato la sua vita per gli altri, servire implica sempre gli aspetti della rinuncia, dell’umiliazione, della sofferenza.
Tuttavia sarebbe salutare che il servire cessasse di essere una specie di attività per mettersi in mostra come persona o come ente.
Il senso profondo del servire è un altro: ciò che l’uomo considera stolto e poco onorevole, Dio lo ha valorizzato.
Questo senso biblico del «servire» come appare nell’Antico Testamento, è superato da Paolo che in Rom. 3,25, dopo aver parlato della redenzione realizzata da Gesù, continua con una formula misteriosa: «Dio ha prestabilito Gesù come strumento di espiazione per mezzo della fede nel suo sangue».
Che cos’è lo strumento di espiazione?
È il «propiziatorio» del tempio, cioè il coperchio dell’arca dell’alleanza che era pensato dai sacerdoti come contatto tra Dio e l’uomo, punto della sua presenza.
Questo «propriziatorio», nel giorno del Kippur (riconciliazione) veniva asperso del sangue di animali sacrificati che assorbivano i peccati del mondo e la vita poteva cominciare di nuovo con l’amicizia di Dio.
Paolo accenna a questo rito, ma col sangue di animali sacrificati non ri realizza questo processo.
Ora è il Cristo il luogo di contatto tra miseria umana e misericordia divina: nella sua immolazione sulla croce; il vecchio culto è sostituito dal culto reale della Croce.
Ecco ora la realtà quotidiana del culto che toglie i peccati del mondo.
Il rinnovamento dell’offerta sacrificale del Cristo nell’Eucarestia non deve restare unica e solitaria.
Paolo nella lettera ai Romani (cap. 12) così si esprime: «Vi esorto dunque fratelli per la misericordia di Dio ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio».
Questo è il vostro culto spirituale.
Nella lettera ai Corinti poi (6,20) dice: «Glorificate Dio nel vostro corpo».
E ancora Rom. 6,13 «presentare se stessi».
Questo comportamento della persona che offre il suo corpo, non la sua anima, non solo la sua preghiera, ma il suo corpo, è stabilito da Paolo «sacrificio vivente, santo, gradito a Dio».
L’offerta del corpo è insistente in Paolo (1 Cor. 6,19).
«O non sapete che il vostro corpo è tempio dello spirito santo che abita in voi, Spirito che avete da Dio e che voi non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati da Cristo a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo.
«Docsasate» = glorificate, da docsa = gloria, è la preghiera più alta che si offre a Dio.
Non è quindi solo nella parola la preghiera più alta verso Dio, ma nel corpo che viene offerto al massimo di come è stato creato.
Mons. Giovanni Battista Chiaradia