Realtà e attesa si incontrano nella nostra tradizione letteraria che prende il suo inizio dalla Grecia, sullo sfondo del tempo che scorre veloce.
Cronos (il tempo) acquista tutto il suo significato: momento presente, dono degli dei e della sorte che spinge all’azione, tanto che si arriva a venerare come un Dio, il Kairòs, inteso come lo spazio di tempo per il singolo, che bisogna utilizzare con sapienza e coraggio: “illico et immediate”, dice il latino, cioè subito.
Chi manca, oppure sfugge al suo Kairos, distrugge se stesso: cioè, chi non agisce nel momento giusto, va in rovina (Platone).
Gli stoici, dai quali Giovanni prese la definizione del Cristo-Parola, vivono solo gli impegni del presente, derivanti dal destino, senza tempo dell’uomo.
Su questo punto il Cristianesimo è andato avanti.
I credenti vivono il passato: se è positivo lo ripetono ed amplificano, se è negativo lo discutono o lo cancellano per un futuro positivo e luminoso, ampio che comprende non solo le cose della terra, ma anche quelle del cielo.
Non dobbiamo lasciarci prendere solo dalla ambivalenza del tempo che mostra la faccia mitica di Giano che sana le ferite e aiuta a cancellare le memorie inquietanti offrendo la speranza di un tempo migliore.
Giano, divinità romana, dal suo nome, collegato con “ianua”= porta, era il signore di tutti i passaggi, il dio che apre e chiude.
Da lui, infatti, fu denominato il primo giorno dell’anno “Ianuarius” e gli si dedicavano sacrifici e preghiere nel giorno iniziale di ciascun mese.
Era rappresentato bifronte, così era simbolo dei due aspetti di ogni passaggio e del corso del sole, che ogni alba ha un tramonto e viceversa.
Si avvicina al cristianesimo nel senso che ogni tristezza ha una gioia ed ogni gioia ha una tristezza.
Ma Giano era solo fantasia e i latini erano tanto intelligenti da capirlo.
È chiaro che prima di Cristo la letteratura latina, stupenda in tanti punti, riguardo al tempo, si accascia sconsolata come una signora elegante che perde un gioiello per strada, torna indietro ma non lo trova.
Tuttavia molto di vero c’è nel pensiero latino: la vita è determinata dalla morte, la sua linea di marcia è irreversibile, i suoi momenti: fanciullezza, gioventù, maturità e vecchiaia sono uniti e irreperibili.
L’uomo è segnato dalla morte (Heidegger). Questo è il vivere laico nel senso di una indifferenza del concetto di eternità.
A questo punto consiglio la lettura della seconda Enciclica di papa Ratzinger sul concetto di speranza, che deve essere presente nella mente ogni momento della vita per sentirsi, come afferma il grande teologo Kierkegaard: “contemporanei di Cristo che muore e risorge perché è Signore del tempo”.
Se ognuno di noi cammina con Lui “anche il mondo andasse in rovina, oggi pianterei il mio piccolo melo” dice Lutero.
E “la teologia della speranza” presentata da Papa Ratzinger, che inizia con una frase di Paolo nella Lettera ai Romani (88,24): “nella speranza siamo stati salvati”.
Il futuro luminoso incontra il presente opaco e l’accende.
Cordialmente,
Mons. Giovanni Battista Chiaradia