Parlando della madre di Gesù, ho pensato subito alla preghiera dell’Ave Maria, nel tema: «Tu sei benedetta fra tuttele donne».
Ecco la donna al centro della famiglia, colei che dona il tono giusto dell’insieme, dell’impegno quotidiano, del dialogo.
Il Salve Regina…«Vita, dolcezza, speranza nostra».
Le tre basi della giornata: vita nel senso di una vitalità senza ostacoli, dolcezza nel dire e nel fare, speranza nella proiezione verso il futuro sempre più nuovo, inedito, forte e sereno.
Mi piace recitare queste due antiche preghiere in riva al mare, quando c’è vento e gli spruzzi mi arrivano in viso.
In quel mormorio di onde, ora sommerso, ora imbronciato, ora furioso si fa viva la memoria dell’antica Grecia. Inizia proprio lì, la preghiera: sulla spiaggia e sulla prua della nave, quando i marinai, prima di sciogliere le vele, attendevano l’apparizione delle Pleiadi, protettrici dei naviganti.
Galileo col telescopio ne contò 36 e scoprì che distano dalla terra 500 anni luce.
I marinai omerici senza telescopio erano capaci, non credo proprio di vederle, ma di avvertirle nell’anima come divina protezione all’ira di Poseidone, il dio etrusco-romano che agitava le acque col tridente e suscitava, tra i nocchieri, dure contese per un nonnulla.
Altre divine potenze sorsero nella fantasia dei nostri antenati.
Ecco Artemide che, pur vergine, era la tutela della fecondità di uomini, donne, animali, circondata dalla protezione delle Ninfe, vergini anche loro.
Come dea della fecondità era pure dea del matrimonio, della nascita e della giovinezza.
C’è poi Atena che diede nome alla città, chiamata anche Pallade e Gleucopis (dagli occhi lucenti), dea della scienza e della sapienza, vergine anche lei, che scaturì armata di elmo e corazza dalla testa di Zeus (Giove).
A lei era dedicato il Partenone (partenos, in greco, significa “vergine”), il più armonioso dei templi dell’antichità greca.
Tra le vergini, si presenta, bella e voluttuosa, Afrodite, dea dell’amore e della bellezza. Secondo Esiodo nacque dalle onde del mare, fu sposa di Efesto, che però tradì per unirsi ad Ares, dio della guerra e delle contese, da cui nacque Eros, dio dell’Amore, raffigurato in un bellissimo fanciullo.
Bello nel copro, ma brutto nell’animo. Eros è attrattiva dei sensi, quello che va sotto il nome di sentimento dionisiaco della vita. Dionisio infatti è il dio del vino, dell’ebrezza, della esaltazione e del rapimento dei sensi.
Alla sua corte ci sono i satiri personaggi fallici dall’aspetto caprino.
Ad essi si richiama il coro delle tragedie greche, le Menadi (dal greco furiose). La parola allude allo smaniare di queste donne che invasate dal dio si agitavano freneticamente in corse e danze tumultuose e licenziose.
Tra i latini diventano le Baccanti, da Bacco, dio del vino e della gioia, ispiratore di forze e di slancio, consolatore delle afflizioni.
Avrebbe inventato l’aratro e i lavori agricoli, benevole e propizio ai deboli, diverso quindi da Dionisio.
Il primo Papa che ha nominato l’Eros è stato Benedetto XVI che, nella sua prima Enciclica dice: «Guardiamo al mondo pre-cristiano: i Greci, senz’altro, in analogia ad altre culture, hanno visto innanzitutto l’ebrezza, la sopraffazione della ragione da parte di una pazzia divina che strappa l’uomo alla limitatezza della sua esistenza.»
Nelle religioni questo atteggiamento si è tradotto nei culti della fertilità ai quali appartiene la prostituzione sacra... che deve donare l’ebrezza del divino e le donne non vengono trattate come esseri umani e persone, ma servono solo come strumenti per suscitare la pazzia divina… per questo l’Eros, ebbro ed indisciplinato, non è “ascesa”, “estasi” verso il divino, ma caduta, degradazione dell’uomo… il pensiero alto, quello della filosofia e delle religioni misteriche di prevalenza orientale tende con l’Eros all’unione col mistero della divinità.
Viene così sempre più in primo piano l’aspetto spirituale dell’unione, pure continuando ad essere usati immagini e simboli erotici.
Così l’Eros per Platone è l’aspirazione verso la giustizia, l’assennatezza, la sapienza che conduce alla immortalità, così Aristotele.
Infine Plotino, nelle Eneadi, parla di aspirazione mistica nell’incontro con i corpi.
In questa ascesa e discesa dell’amore tra donna e uomo, per giungere alla massima delicatezza dell’insieme, vincendo la dura crudezza dell’incontro, la fede nel Cristo ci dona protezione ed esempio nella sua mamma con la sua commovente finezza.
Si, commozione e finezza quando i due si confrontano negli occhi e si amano.
La Vergine madre del Cristo è lì, dolce, severa, santa, indicibilmente santa, custode dell’Eros che da pesantissimo mostro è trasformato in raggi luminosi, impulsi immateriali, segreti del divino tocco del Creatore, avvolgendo la materialità del corpo nell’ineffabile leggerezza del divino già intuita nel pensiero alto della letteratura greca. (Mons. Giovanni Battista Chiaradia)