Nel quarto Vangelo, Giovanni ci presenta una testimonianza fedele della vita di Gesù, iniziando con un vocabolo in uso in quel tempo tra i dotti: «Logos», «Parola».
Il «Logos» si è fatto carne: Dio si è fatto parola nella natura umana.
Dove ha preso Giovanni questo termine? La tradizione è concorde nell’attestare la presenza di Giovanni, con la mamma di Gesù, Maria, in Efeso, dove esisteva da secoli una scuola filosofica storica che usava la parola «logos» per indicare il saggio, il preciso, il sicuro. Difatti, «logos», derivato dalla radice «leg», significa: raccogliere, raccontare, parlare. Nel tempo, specialmente con il filosofo Eraclito, «logos» prende un tono stupendo: è usato per indicare il vasto campo concreto di tutto ciò che gli occhi e le orecchie permettono di percepire, l’accurato scegliere e porre le cose una accanto all’altra, studiarle, definirle, interpretarle. Il vocabolo, nel tempo, veniva assunto da varie scienze, allora in sviluppo: la matematica, la logica, la psicologia, la metafisica, la teologia. Dopo Eraclito, un altro studioso, Parmenide, presenta il «logos» come puro pensiero, non turbato dai sensi. In questo modo il «logos» viene posto aldilà del mondo fenomenico e spazia nell’infinito senza limiti, oltre quindi la storia terrestre «in cui non ci può essere che la lotta interminabile e vicendevole degli opposti tra loro». Oso dire: questi due filosofi, inventori del termine «logos», non sono forse gli antesignani di Giovanni? Non sono loro che hanno avuto da Dio la rivelazione di un linguaggio e quindi di una indagine che indicasse la nascita della scienza e quella del pensiero puro non turbato dai sensi?
Dal bambino che, anche se ha studiato a dovere, non riesce a risolvere il problemino della maestra, al professionista che s’imbatte in un caso difficile da capire, al giudice che deve stare attento alla sentenza perché non è chiaro chi sia la persona che ha davanti, al chirurgo a cui si innonda il campo di sangue: ecco, il «logos», se lo vuoi - soltanto se lo vuoi, perché rispetta la tua volontà -, ti arriva improvviso. È Gesù il «logos».
Nel 1854 Dostoevskij scrive questa sua paradossale professione di fede all’amica Natalia Fonvizina: «Sono un figlio della mancanza di fede e del dubbio e lo sono fino al midollo. Quanti crudeli tormenti mi è costato e mi costa tuttora quel desiderio di fede che nell’anima mi è tanto più forte quanto più sono presenti in me le motivazioni contrarie! Tuttavia Dio, talvolta, mi manda momenti nei quali mi sento assolutamente in pace. In tali momenti io ho dato forma in me ad un simbolo di fede nel quale tutto è per me chiaro e santo. Questo simbolo è molto semplice, eccolo: credere che non c’è nulla di più bello, di più coraggioso e di più perfetto di Cristo e con fervido amore ripetermi che non solo non c’è, ma che non può esserci. Di più: se qualcuno mi dimostrasse che veramente la verità non è in Cristo, beh, io preferirei lo stesso restare con Cristo piuttosto che con la verità»
Cordialmente
Mons. Giovanni Battista Chiaradia