In quel tempo, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo:“Simone di Giovanni, mi ami?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”. Gli disse per la terza volta: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami? E gli disse: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecorelle”.
Dal Vangelo Giovanni 21,1-19
Ecco ancora una testimonianza che ci dimostra come la Risurrezione di Gesù non debba essere concepita come una rianimazione di cadavere. La Maddalena non lo riconosce, ha le forme di un ortolano; i due di Emmaus si affiancano a Lui, non lo riconoscono, ha l’aspetto di un viandante; qui i discepoli non lo riconoscono, ha l’aspetto di un pescatore.
Questo vuol dire che è Gesù che si fa vedere e da una dimensione che non è più la sua. La prova è chiara, se quel Gesù risorto fosse stato quello di prima, Pietro e Giovanni che lo avevano frequentato l’avrebbero riconosciuto. É Giovanni che ha l’intuizione, ma non lo riconoscono direttamente. Gesù nella nuova dimensione si è reso fruibile alle coscienze, quindi il Gesù storico ha chiuso la sua vicenda.
Il Gesù storico non è morto, ma è ancora vivo perché in Lui c’erano i caratteri della Divinità. Se Lui era Dio, tutte le parole dette quando era ancora nei panni del Cristo storico, hanno il valore di una parola o di parole di Dio, certamente più della Scrittura. Questo per quanto riguarda la collocazione dell’episodio.
Ora veniamo a un punto molto delicato. Presso i teologi ci si chiede qual’è il passo in cui Gesù dà a Pietro il primato sulla Chiesa. É in questo passo di Giovanni o nell’altro di Matteo dove l’evangelista dice: “Ti darò le chiavi del regno dei Cieli”. Io credo che sia questo di s. Giovanni il vero passo in cui Gesù dà a Pietro, la guida della Chiesa. Ci sono però delle condizioni: c’è la prova dell’Amore.
Giovanni, scrive il suo Vangelo molto tardi e a Roma si erano già succeduti vari Papi. Dal 94 al 100 regnava papa Clemente Romano, il quale scrive una lettera alla comunità di Corinto dove dice di riconsiderare l’obbedienza del creato a Dio: “Vedete come è bello il creato, c’è il giorno, la notte, le stagioni”. Dalla natura passa al sociale: “Vedete, i soldati militano sotto i nostri capi, guardate la disciplina, la sottomissione, non tutti sono proconsoli o tribuni, ma ognuno al proprio posto esegue i comandi dell’Imperatore. Ciascuno sia sottomesso secondo il grado di grazia in cui fa posto: il ricco aiuti il povero, il povero ringrazi Dio di avergli concesso chi sovviene alla sua miseria. Al Pontefice sono state conferite mansioni liturgiche speciali, ai sacerdoti è stato dato un posto speciale, ai leviti spettano servizi particolari, il laico è legato a regolamenti laici”. In questa lettera, che ho sunteggiato per linee portanti, v’è qualcosa che richiami il Vangelo? Ecco dove nasce la spaccatura nella Chiesa tra chierici e laici. Purtroppo c’è una Chiesa modellata sull’Impero Romano, ma non sul Messaggio Evangelico.
Questa concezione della Chiesa arrivò probabilmente all’orecchio di S. Giovanni il quale rimase turbato. E allora, scrive l’episodio che fonda il primato di s. Pietro, in questi termini: chi vuole essere primo deve essere l’ultimo. Dice Gesù: “Pietro mi ami tu”? Dunque c’è bisogno di santità non di infallibilità, lungo la storia avevamo bisogno di Papi santi, non infallibili. Ecco come si è poi concretizzato quel primato.
Gesù alle tre risposte di Pietro afferma: “Pasci i miei agnelli”, “Pasci le mie pecorelle”, come dire: le Mie, non le tue. La notazione è di Pascal, 1600, il quale dice: ho capito adesso, noi siamo le pecore e lui Pietro è semplicemente il pastorello che le porta al pascolo, ma non è padrone delle pecore. Facciamo attenzione, per non diventare delle pecore pazze, dobbiamo riconoscere Gesù come pastore. Noi apparteniamo direttamente a Cristo Pastore non a Pietro, non per il tramite di scansioni gerarchiche che non siano un puro servizio.
Noi apparteniamo direttamente a Cristo Pastore e non a Pietro, che ha il compito di tenerci uniti nel Suo nome. Non è dunque una gerarchia ma un puro servizio. Da duemila anni questo è il continuo diffondersi del gregge nello spirito più attento di questo passo. I Pastori, dal canto loro devono rileggerlo e le pecore, a loro volta, con umiltà, dovrebbero rileggerlo per trovare la forza di sentirsi rincuorate e appartenenti soltanto a Gesù Cristo, senza avere alcun rancore dentro al cuore, generato dall’umano potere. Non dunque una piramide, ma fratellanza.
Pietro mostrerà il suo essere vicario di Cristo in quanto lo amerà, assolvendo il compito di pascere spiritualmente il Suo gregge. Quanto al resto potrà forse, a questo mondo, apparire un capo tra capi, ma la Chiesa non sarà per questo una società come le altre, non sarà confondibile con una multinazionale, ma cercherà sempre più di splendere come la Città sul monte. (P. Aldo Bergamaschi)