Accettare la sfida della Morte - di P. Lorenzo Giordano sj

Può l'eutanasia essere una forma estrema di carità?

14/04/2007
Sempre sul tema che riguarda l’eutanasia, come forma estrema di carità, penso che siano utili alcuni tratti di una lettera pastorale degli Arcivescovi di Friburgo e Strasburgo e del vescovo di Basilea, in data giugno 2006, [da sito internet www.bistum.basel.ch - traduzione dal tedesco] e stampata sul quindicinale di attualità e documenti Il Regno, 1 gennaio 2007.
 
I malati gravi ed i morenti chiedono assistenza ed amore
«Le paure ed angosce suscitate dall’aspetto anonimo e tecnico della medicina vanno indubbiamente prese sul serio. Ma non ci si dovrebbe accontentare di una risposta troppo rapida e superficiale. L’autorizzazione legale a dare la morte su richiesta o a prestare assistenza medica al suicidio sarebbe un segnale nella direzione sbagliata. Trasformerebbe la morte in un evento prodotto artificialmente per permettere alla persona malata, che non ha più alcuna prospettiva di guarigione, di lasciare in silenzio il mondo dei vivi. Dietro un tale atto c’è una visione dell’essere umano fondata unilateralmente sull’ideale della indipendenza, della capacità di riuscita, della salute.
«Da questo punto di vista la presenza della persona malata, sofferente e morente viene percepita esclusivamente come un peso, di cui bisogna sapersi sbarazzare. Nell’essere umano gravemente malato non si vede più la persona sofferente, alla quale dobbiamo fino alla fine un’accoglienza, un amore e un aiuto incondizionato, ma soltanto una situazione sanitaria, che diventa ormai disperata e alla quale si deve porre fine con un intervento esterno. E qui viene riportato in nota un testo della letteratura enciclica di Papa Giovanni Paolo II Evangelium vitae del 25/3/1995: “Oggi, in seguito ai progressi della medicina e in un contesto culturale spesso chiuso alla trascendenza, l’esperienza del morire si presenta con alcune caratteristiche nuove. Infatti, quando prevale la tendenza ad apprezzare la vita solo nella misura in cui porta piacere e benessere, la sofferenza appare come un scacco insopportabile, di cui occorre liberarsi ad ogni costo.
«La morte, considerata ‘assurda’ se interrompe improvvisamente una vita ancora aperta ad un futuro ricco di possibili esperienze interessanti, diventa invece ‘una liberazione rivendicata’, quando l’esistenza è ritenuta ormai priva di senso perché immersa nel dolore e inesorabilmente votata ad «un’ulteriore più acuta sofferenza”. (n. 64/EV14/238).
«Una visione unilaterale della vita, che esclude i suoi lati oscuri, costringe le persone gravemente malate e morenti a dovere giustificare la propria esistenza. Ma questo viola il principio fondamentale di una società veramente umana (e democratica), la quale attraverso i suoi ordinamenti giuridici, per garantire a tutti i membri – anche ai deboli, ai malati e ai bisognosi di aiuto la certezza di essere accettati senza riserva. Il principio fondamentale della indisponibilità della vita la protegge in tutte le sue fasi e in tutte le sue forme; chi vuole escluderne certe condizioni, all’inizio o alla fine si arroga un diritto che una società democratica non può riconoscere a nessuno.
«Il testo in nota si richiama ad un importante documento della Comunità Internazionale degli Stati, la raccomandazione (1418) del Consiglio d’Europa su Protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dei malati incurabili e dei morenti del 1999 proclama espressamente che la dignità inviolabile dell’uomo si estende a tutte le fasi della vita e comprende quindi anche il diritto a un’adeguata protezione ed efficace sostegno e aiuto nella morte.
«Nella sua ultima determinazione la raccomandazione sancisce espressamente che il rispetto della dignità della persona che muore non può mai legittimare azioni deliberate di uccisione; anche la manifestazione di un desiderio di morire non costituisce una legittimazione sufficiente per azioni volontarie finalizzate a produrre la morte.
«Il concetto di riconoscimento reciproco, che è alla base della cultura giuridica democratica, chiede piuttosto che sappiamo adottare davanti ad ogni essere umano, alla persona sana come a quella malata, alla persona in via di guarigione come a quella morente, un atteggiamento di accoglienza e rispetto.
«La morte non è semplicemente la fine della vita, ma ne è parte integrante. Nella morte si realizza il compimento terreno della vita, che ciascuno deve accettare coscientemente per quanto permettono le circostanze.
«Per questo i morenti hanno bisogno di molteplici forme di aiuto e di sostegno. Per essere veramente improntata ad umanità, l’assistenza al proprio simile morente dovrà aiutare la persona stessa ad accettare la propria dipartita. Gli lascia il diritto di morire della sua propria morte, non nel senso di un suicidio manipolato, ma nel senso di una accettazione consapevole del suo morire. Il processo del morire sarà sostenuto dai medici, dagli infermieri e dai parenti con un’efficace riduzione della sofferenza, un adeguato trattamento medico e un’attenta vigilanza umana.
«Giovanni Paolo II, la cui morte è stata seguita con profonda partecipazione da innumerevoli persone, al termine della sua lunga malattia ha affermato: “la mia vita è nelle mani di Dio” e ha consolato i fedeli che in Piazza San Pietro pregavano per lui, con queste parole: “sono contento, e siatelo anche voi”.
«Perciò un aiuto responsabile al morente consiste sempre e solo nel rendergli più sopportabile l’ultimo tratto della sua vita. È questo il vero significato della compassione e della misericordia, in nome delle quali non si può mai legittimare un intervento che procuri la morte. Compassione e misericordia e amore caritatevole determinano una relazione tra gli esseri umani nella quale si vive per il prossimo, si rafforza la fiducia che ha in se stesso e si è disposti a sostenerlo e ad alleviare le sue sofferenze. Questa compassione non lo sminuisce, ma lo rafforza nella sua unicità di persona.
«Un’etica attenta all’essere umano vieta di trasfigurare la sofferenza in quanto tale o di minimizzare il peso di certi dolori estremi che possono essere legati al morire. Tuttavia la compassione e l’amore del prossimo sono forme di rispetto proprio dell’essere creato, attraverso le quali sappiamo essere particolarmente vicini alla persona sofferente. Ma non possono mai diventare un motivo per indurre ad uccidere.
«Nell’ultima fase di morire, l’esperienza del vero significato della vita è possibile solo se è sostenuta dalla solidarietà e dalla vicinanza di altre persone. Perciò il morire degno dell’uomo esige qualcosa di più del semplice rispetto di una presunta autodeterminazione del morente non influenzata dall’esterno. Il morire degno dell’uomo è possibile solo se si conservano le relazioni personali e se si offrono segni concreti di vicinanza umana.
«La solidarietà con i morenti non consiste nell’indicare loro una strada per potersi congedare per sempre dalla vita prima di diventare un peso per gli altri. Il vero aiuto, che non evita la sfida del morire, richiede piuttosto la disponibilità a restare presenti, a resistere pazientemente e ad aspettare insieme la morte. L’accettazione di questa impotenza rivela una solidarietà umana più profonda e un rispetto più determinato per la dignità del morente in confronto alla scappatoia di una provocazione volontaria della morte da parte di altri o dello stesso malato.
 
La vita è inviolabile
«Le persone malate, bisognose di cure e morenti appartengono alla società al pari di tutte le altre.
«La loro presenza è un monito per coloro che sono sani e forti nel loro futuro e li preserva dalla illusione di una vita superficiale, che vorrebbe evitare tutte le costrizioni e tutti i limiti.
«Quando non vengono bandite dalla vita sociale, le persone malate o morenti, ci ricordano una verità elementare della nostra condizione umana che vale per tutti. Noi esistiamo come realtà finite, e la nostra dignità consiste nel dover vivere e morire in questi limiti. I principi basilari della inviolabilità della vita umana e l’esigenza di rispettare i diritti delle persone malate gravemente e morenti sono vincolanti per tutti. Perciò, in quanto Vescovi, chiediamo la difesa dell’ordinamento giuridico che ha valenza non solo per i credenti ma anche per tutti gli esseri umani.
«La capacità di uno Stato di diritto democratico di risolvere i conflitti morali fra i cittadini, in modo ragionevole per tutti, presuppone il riconoscimento dei diritti e dei doveri fondamentali che proteggono l’essenza dell’umano vivere insieme.
«Perciò, il riconoscimento della dignità di ogni persona, il rispetto dei suoi diritti inviolabili ed inalienabili, nonché la protezione della vita umana, il bene fondamentale di ogni società, non devono essere lasciati al sentimento apparentemente umanitario di singole persone.
«Essi incarnano piuttosto diritti e valori con cui si protegge e si difende il diritto e il valore della stessa democrazia.
 
Speranza, pazienza e carità: la luce nel buio della morte «Nessuno di noi può prevedere il modo in cui affronterà o supererà la prova della morte! Né la medicina, né alcuna concezione filosofica o ideologica del mondo e neppure la nostra fede cristiana danno una risposta ultima e definitiva alla morte.
«Davanti all’oscura realtà del trapasso, finisce ogni teorica velleità di conoscere ogni cosa per filo e per segno.
«Un ponte che conduce, attraverso la morte, al di là di esso, ci viene offerto solo nella speranza della vita eterna e nella pazienza che si attiva al mistero dell’amore misericordioso di Dio che si lascia Guidare da Lui con fiducia nell’oscurità.
«Non nella rinuncia alla speranza ma solo sulla strada dell’Amore che tutto sopporta (1 Cor. 13,7), riusciremo a superare con la morte del Giusto, il doloroso travaglio della morte».
 
Al termine di questa lettera pastorale, mi permetto di concludere con l’atteggiamento esemplare di P. Nazareno Taddei nel terminare la sua vita terrena. Sentendo vicina la chiamata del Padre ci aveva confidato «non fatemi soffrire più di quello che il Signore vuole» e dopo la comunione sempre ripeteva: «tutto disponi Dio, secondo la Tua Volontà, dammi solo il Tuo Amore e questo mi basta!»
Tra le sofferenze che non sono mancate, si è spento il Padre Nazareno Taddei, nella speranza e nella fiducia del Mistero dell’Amore Misericordioso di Dio.
Saluto cordialmente e prego per tutti il Signore che ci dia la grazia di affrontare la morte con questa testimonianza di fede. (P. Lorenzo Giordano s.j.)