In quel tempo, si avvicinarono a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora gli disse questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze.
Dopo non molti anni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto… Si mise allora al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Allora rientrò in se stesso e disse: “Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame”(...) Partì e s’incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Portate il vitello grasso, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato… Il Maggiore si arrabbiò, il padre allora uscì a pregarlo, ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Luca (15,1-3.11-32)
Dopo la lettura di questo testo non ci sarebbe bisogno di spiegazione alcuna tanto la parabola è chiara, eppure leggo, ascolto le varie interpretazioni, poi mi rendo conto che l’interpretazione fatta da don Primo Mazzolari è ancora regale. Se potete trovare ancora nelle librerie il volume leggetela, ha come titolo: “La più bella avventura” scritta nel 1934. Di solito si procede alla diagnosi dei torti del Figliol prodigo, che sono molti, mentre, invece Mazzolari, dà la precedenza al Maggiore nel capitolo “Il confiteor del fratello Maggiore”.
Ha dato fastidio che Mazzolari abbia fatto il confronto fra i farisei - quelli “rimasti dentro” che s’identificano con il Maggiore - e il nostro tempo, dove abbiamo tutta una rivolta contro la Chiesa. Mazzolari comincia con i torti di chi è dentro la Chiesa e dice: “I rimasti non si sono mai confessati, né spontaneamente, né volentieri. Chiedono perdono delle colpe individuali, ma non si accorgono di quelle più grandi che li riguardano come membri della comunità”. Dal 1934, sono passati una cinquantina d’anni prima che il Papa chiedesse perdono per i peccati commessi dai membri della comunità.
Ecco in breve i torti del Maggiore: «Egli è nella casa del padre e si sente uno schiavo. Non fa nulla per fermare il fratello inquieto, come se fratelli non fossero, è un calcolatore, ha dentro lo spirito di casta; è un benestante dello spirito».
Fatta questa diagnosi, che io ho ridotto all’osso, vedrete come Mazzolari, facendo l’analisi degli errori del Prodigo, si distingue dal modo comune di concepire il peccato. Egli dice: «Il primo errore è la sua maniera di essere di fronte al padre che gli blocca l’effluvio della paternità: dammi la mia parte, che è uguale a dire; io ti vorrei morto. L’errore principale è l’aver confuso l’esilio con la patria, la casa di quaggiù con gli eterni tabernacoli. Oltre gli errori che potrebbero essere anche di dottrina, ci sono i suoi torti». Mazzolari precisa: «Né l’insoddisfazione che gli viene dalla casa, né l’esigere dal padre la sua parte, né l’andare fuori di casa sono dei veri torti». Certo è un grosso torto questo, ma anche il Maggiore esige, e di peggio.
Le anime più belle del cristianesimo sono insoddisfatte e sto pensando a S. Francesco, il quale non si è trovato a suo agio in quel tipo di civiltà cristiana.
Ancora Mazzolari: «Il vero torto comincia, quando il Prodigo mette in conto di Dio ciò che non ha o crede di non avere; ciò che non trova o crede di non trovare, creando l’antitesi tra Dio e i propri bisogni di felicità». Questa è una malattia che abbiamo addosso tutti. Cosa è il peccato? Continua Mazzolari: «Più che la disobbedienza è la defigurazione di Dio, la quale si compie ogni qualvolta noi gli attribuiamo pensieri, intendimenti, operazioni che non gli convengono». Qui c’è il riferimento a tutti gli errori della cristianità, i cui membri hanno applicato a Dio cose che a Dio non possono convenire. Termina così: «Gesù crocefisso è il nostro peccato, anzi l’effetto del nostro peccato».
Vi detto ora brevemente le parti del dramma: «Dammi la parte che mi spetta», questa richiesta è già la conseguenza di una rottura interiore che bisogna supporre, anche se non è detta nel testo: ecco perché non è il vero male. I veri mali non sono la richiesta della proprietà come un assoluto sociale; certo essa diventa sospetta una volta che io la chiedo fuori di colui che la consacra. Il male è il distacco dalla fonte di tutti i valori: il Padre.
Pure il Maggiore rimprovera al padre di non avergli mai dato un capretto per andare a divertirsi con i suoi amici. Vedete, il baco del capitalismo lo abbiamo tutti dentro; oppure l’assolutizzazione della proprietà privata.
Poi il Prodigo va in un paese lontano, lo schema è classico, si riproduce anche ora, sperpera i denari. Il Maggiore ha l’occhio aperto: ha consumato tutto con le prostitute, (sesso, denaro, potere ) – e va a finire ad essere un guardiano dei porci – che sono l’effetto del distacco del finalizzatore d’ogni dolo. Il vero peccato è quello di essersi staccato dal padre.
Ecco ora un pericolo: credere che per essere buoni occorra fare l’esperienza del male. Questo è un capitolo drammatico dell’educazione. Così si ha un mondo, pur formalmente cristiano, perpetuamente cattivo. La mia formula la sapete, ed è la divisione delle etiche. Ora si vuol dare il voto anche ai bambini: allora, si devono prendere i ragazzi già dai quindici anni e responsabilizzarli sui tre punti: sesso, denaro e potere, poi farli scegliere. Se è vero che bisogna fare l’esperienza del male, allora mettiamoci d’accordo fino a che età uno può farlo e poi metta la testa a partito. Sennonché, quando uno si avvia sulla strada del vizio, è difficile per lui mettersi in linea.
Il fatto del ritorno del Prodigo è un miracolo sotto un certo profilo, proprio perché costui finalmente riflette su quello che ha commesso e non è va oltre perché ha riscoperto il padre.
C’è chi strumentalizza la parabola per costruire un concetto di confessione – tocco un tasto molto penoso – in cui ogni settimana si può fare un adulterio, una disonestà professionale con l’uso del danaro, un uso improprio del potere pubblico, giacché alla fine si può chiedere perdono. Ciò spiega perché siamo perpetuamente cattivi.
Un giorno io ad un peccatore di questa specie ho detto: ma lei ha messo su il mestiere del Prodigo? Guardi che il Prodigo è uscito una volta sola dalla casa del padre, lei invece, esce dalla casa del Padre cinquantadue volte l’anno. Aveva ragione quell’umorista inglese che diceva: nulla di più facile che smettere di fumare, io per esempio ho smesso cinquanta volte. Questo è il trucco con l’insidia nell’interpretazione della parabola. Con questo signore ho concluso così: lei non ha bisogno di confessarsi, lei ha bisogno di convertirsi. Questo vale per tutti, anch’io in un periodo della mia vita, da giovane, mi confessavo tutte le settimane perché il confessore diceva che è di aiuto. Non ci siamo, è proprio lo spirito di conversione che non era in me e lo dico anche a voi: chi si confessa senza convertirsi diventa il professionista del peccato.
So di un signore faccendiere, inquisito, che è talmente religioso che quando andava a caccia in Ungheria, la prima cosa che chiedeva agli abitanti era l’ora della messa della domenica. Ecco come ci si concilia anche con la verità cristiana.
La parabola è per colui o coloro che finalmente hanno capito che fuori dalla casa del Padre c’è il male, c’è l’inizio della definalizzazione di ogni bene. È una religiosità nevrotica questo stare formalmente dentro il bene con il continuo desiderio di uscire verso il male, perché non si è scoperto dall’insegnamento di Gesù, – ecco la lezione – che l’amore del Padre è l’ideale etico che può appagare tutti i desideri nobili della persona umana e creare finalmente una società rinnovata. (Padre Aldo Bergamaschi)