Dov'era il Dio del Natale?
Cerchiamo invano una spiegazione della tragedia del sud est asiatico; è possibile senza la fede?
05/01/2005
Sembra una bestemmia fare, anche solo col pensiero, la domanda: «dov'era Dio il giorno di Natale e l'indomani, nel sud-est asiatico?», quando è scoppiato il terribile maremoto; proprio i giorni in cui Gesù, l'infinito Verbo di Dio, l'architetto dell'Universo celebrava - e noi con Lui - il suo Natale.
Già! Proprio Lui, l'eterno Figlio di Dio, inventore di quelle meravigliose, ma pur terribili, cose che donava all'Uomo, creato a sua immagine e somiglianza; Lui, ideatore proprio di quella natura con l'acqua e col fuoco e con le faglie terrestri, e quindi i terremoti. Già! Proprio Lui!
E non è una bestemmia anche solo il pensare a una domanda di quel genere?
Già la S. Scrittura dichiara che il vaso non può chiedere al vasaio perché l'ha fatto in quel modo e non in un altro.
Eppure può anche essere o non essere una bestemmia: tutto dipende dal senso con cui uno si fa quella domanda e dal significato della risposta che uno si attende.
Qualcuno dei lettori di queste mie prediche m'ha già fatto una simile domanda e penso d'aver risposto.
Ma ci ritorno, perché una simile domanda è ovvia e me la sono posta anch'io, e più volte, proprio di questi tempi, ben ancor prima del maremoto: - da una parte - guardando il mondo proprio di quegli Umani che Dio ha creato a Sua immagine e somiglianza per la Sua maggior gloria e non perché lo bestemmino; e - dall'altra - leggendo il Vangelo che dice: «Qualunque cosa chiederete al Padre mio nel mio nome, Egli ve lo concederà»; e voi, invece, pur pregando con lealtà di intenti e con ardore sincero, e non per egoismo, ma la risposta... è come non avessimo pregato.
E allora, il Vangelo vale o non vale? C'è da crederci?
Altro che bestemmia!
Quella domanda sembra ed è un nostro diritto, proprio perché Dio ci ha creati, dotati d'intelligenza e di libero arbitrio. Il che significa ch'è nostro dovere cercare sempre il perché di tutto ciò succede.
In poche parole, Dio vuole che, di fronte alle vicende della vita, riflettiamo e ci rendiamo conto - già da noi, certo col suo aiuto, ma da noi - che dobbiamo arrivare (e arriveremo di fatto) a intravedere il tocco, la carezza, di un buon Papà.
E allora riflettiamo.
E qual'è la prima ovvia riflessione che però finisce con una severa domanda: «Chi credi di essere tu che pretendi tu di sapere qualcosa che tocca le profondità dell'Infinito?»
Eh, già! Chi sono io? Un vaso in mano al vasaio; un animaletto che, pur dotato di intelligenza e di libera volontà (perché così Dio mi ha fatto, bontà Sua, non io). Io, invece, credo di essere Qualcuno. Superbia!... madre e figlia dell'ignoranza.
Che scoppoletta, ragazzi! Non bestemmia, ma superbia!...
Siamo nel mondo del Cristo-Verbo di Dio» (Verbo, cioè la parola: «Io sono Dio»): «verità», cui mi ha portato la «via» (la riflessione obbligata), solo seguendo la quale potrò arrivare alla «vita». E la superbia è proprio il contrario di ciò che ci vuole. Impariamolo bene!
Ed ecco la risposta della «vita» (l'Infinito e il Finito, se c'è l'umiltà, si confondono nel regno di Cristo): a me è sembrato di sentire la risposta in una di quelle trasmissioni televisive, che mostravano i disastri di quelle furie di acque devastatrici: prima, un capitello con l'immagine del S. Cuore, uscito indenne da quelle ondate e il documentarista l'ha colto proprio di fronte in piano ravvicinato, per far vedere bene che era un Gesù dal cuore in mano, cioè il «Verbo» fatto carne. Oh, mistero!
Un po' dopo, un foglio di carta con l'immagine della Madonna, appoggiato tranquillo su una fascina di sterpi, pronto a essere spazzato via da quelle feroci ondate.
Ma poi mi arriva un numero di «Panorama (4 genn. 05)» dove (v. immagine) una donna, a Beslan sulla tomba del figliolo, accanto al pupazzetto Pikachù (di Pokemon) mette un albero di Natale (a sinistra).
Sì, tre istanti di una stessa fede, che ho sentito nel mio interno come un trillo, ma forse piuttosto come un urlo interiore di fede, ben piú che di sola speranza.
Tre istanti di fede di gente che ha vissuto e vive immersa in quella vicenda (per noi lontana): il primo, la fede di chi ha costruito quel capitello, anche senza pensare al maremoto, in una parte della Terra dove non tutti sanno o credono in quel Verbo fatto Uomo e quel capitello resiste; il secondo, un atto di fede, ben più che di speranza, d'un pezzo di carta contro la furia dell'acqua, ma un pezzo di carta, che non è solo carta, anche se lo è, ma è il ricordo, la fiducia, di quella verginella che ha accettato di incarnare, far diventare Uomo, quel Verbo infinito e purissimo spirito, per il cui bimillesimo compleanno facciamo festa proprio in questi giorni di disastri; il terzo, il simbolo della «Vita» natalizia piantato sulla tragica tomba.
E disastri, da notare bene, non a causa delle armi di quella cattiveria di Uomini, che qualcuno s'illude ancora di smorzare senza l'intervento di Dio, come la nuova Costituzione europea, bensì da quella scatenata Natura, che proprio quel Verbo ha inventato come architetto dell'Universo.
Basta la parola mistero, per capirci qualcosa?
Il mistero è proprio qui: in quella fede spontanea e genuina, più forte del maremoto.
Poi ho saputo di una di quelle piccole chiese, investita dall'ondata, alla fine della quale non s'è trovata la statua della Madonna. Ancora Lei. Ma la gente del posto ha pensato: «Dal mare, questa Madonna c'era arrivata; il mare l'ha ripresa per portarla altrove!»
Ancora fede, forse maggiore, perché arrivata senza passare dalla speranza.
Basta allora la parola mistero, per capirci qualcosa?
No, non basta; eppure, deve bastare.
Deve, perché quelle mani che hanno messo lì quella carta con l'immagine della Madonna - forse mani di bambino di bambina, forse di mamma o di nonna, forse di suora o di frate o di sacerdote - sono nel turbine e sanno di dovervi far fronte: proprio turbini, architettati come regalo, immenso e stupendo, da quel Verbo che la Madonna ha incarnato. Deve bastare, perché le persone che hanno perso quella Madonnina hanno avuto la fede ch'è andata altrove. Ma dove? Non occorre saperlo. E loro sono di lì; noi siamo qui, non toccati da quei disastri.
Dobbiamo forse pensare che quel maremoto è stato un regalo di Natale?
Ohimé, sono impazzito?
Eppure, oso dire ch'è stato il regalo, non un regalo di Natale? Certo è facile per noi dirlo, per noi che ce ne siamo stati caldi nelle coperte. Ma il buon Dio, infinito e onnipossente Papà, è al di sopra di tutti.
Tuttavia, anche per noi, qui da noi, è successo qualcosa che ci fa riflettere: proprio in quei giorni, un povero disgraziato ha commesso un attentato alla vita del capo del Governo. Non mi interessa come si chiami quel Capo e nemmeno mi interessa che l'attentatore abbia chiesto scusa e che - per quanto fatto importante - la vittima dell'attentato lo abbia perdonato. Mi interessa invece che la vittima dell'attentato sia il Capo legittimo che la maggioranza degli italiani si sono scelti democraticamente per essere governati.
Ed ecco: come giustifica quel disgraziato il suo delitto? «Io lo odio!», il che è, né più né meno, il satanico «Non servirò!» di Satana; il perfetto contrario di quel mondo della fede e dell'amore, che abbiamo appena visto arrivarci dai superstiti del maremoto.
E dobbiamo riflettere anche qui: da dove nasce quell'«odio»? La risposta è ben più semplice: deriva anche (ma non solo) da quei pseudo-cristiani, tra cui spiccano l'ineffabile Rosy Bindi e il non-nobel poeta Luzi, che si sono buttati politicamente dalla parte del satanico «Non servirò!», dichiarando di opporsi a «quel» legittimo presidente «con tutti i mezzi e fino in fondo»; cioè, oltre la menzogna e la calunnia, anche l'«odio» che può arrivare a pensare di uccidere. E la magistratura che, sulla scia di analoghi risentimenti, libera il tentato omicida appena arrestato.
Anche qui mistero? Dov'era Dio in Italia quel martedì sera? E quante altre volte succede di farsi simili domande?!?...
Umilmente, non facciamoci domande di questo genere: noi siamo vasi nelle mani di un Vasaio, che ne sa più di noi e che ci vuole, comunque, sempre bene. E questa può e deve essere la nostra risposta alla domanda che non riusciamo a non farci.
Fidiamoci e affidiamoci a Lui, con la fede, cioè con la certezza (Hebr. 11, 1: con «La fede [che] è la sostanza di cose sperate, argomento di cose non viste. [... ] Per fede, sappiamo che il mondo è stato creato dalla parola di Dio.»), superando la speranza; accettando anche - umilmente - di non capire il come e il perché, sicuri solo di essere nella mani del nostro buon Padre celeste.
E non è sempre facile; ma il buon Dio ci aiuta, se ne abbiamo bisogno!
Con tutta cordialità e sempre a disposizione.
P. Nazareno Taddei sj