Il sig. E.M., catechista, mi internetta: "Una ragazza che conosco ha chiesto di sposarsi in Chiesa perché ci tiene all'abito bianco e il parroco ha accettato di sposarla.Le pare sufficiente il motivo dell'abito bianco per celebrare un Sacramento così importante come il matrimonio?"
Anche a me, purtroppo, è successo recentemente d'essere coinvolto in due casi analoghi. In coscienza, io ho dovuto rinunciare a sposare (non solo per l'abito bianco), benché si trattasse di miei cari amici; ma i promessi sposi hanno trovato facilmente chi mi ha sostituito. Comunque, il problema c'e' ed e' grosso.
Vediamo. Rispondo distinguendo anzitutto i due punti: quello del parroco che ha accettato di sposare; e quello se sia sufficiente la voglia dell'abito bianco per sposare in chiesa.
Comincio dal secondo e dico subito che il motivo dell'abito bianco non e' sufficiente per sposarsi in chiesa; come pure, per il partner, non basta che accetti di sposarsi in chiesa solo per far piacere alla futura sposa. E perché non è sufficiente?
Diciamo, intanto, che l'abito bianco non c'entra direttamente col Sacramento; ma e' tradizione che la sposa indossi un abito bianco per significare la propria verginità. Il significato dell'abito bianco era ed è particolarmente importante: si voleva che fosse il più bello possibile; lo si trasmetteva di madre in figlia o comunque lo si custodiva gelosamente in posto d'onore, proprio perché rappresentava la caratteristica del matrimonio conforme alla morale cristiana.
Ma ormai l'aspetto spettacolare predomina su quello spirituale ed è raro che quel bianco corrisponda a verginità. Al punto che, oggi, sta prendendo piede una consuetudine, che non saprei dire se buona o malvagia: quella di fare abiti da sposa non più bianchi, bensì bianco panna. In un certo senso è cosa buona, perché la sposa che lo indossa ammette di non meritare l'abito bianco e quindi praticamente di non voler mentire proprio davanti all'altare; ma il fatto che questo sia diventato consuetudine (e praticamente accettato dai parroci) potrebbe essere come dire che quello che interessa non e' il bel significato, bensì il fatto spettacolare.
Tradizioni come quella dell'abito bianco sono molto belle, perché fanno ricordare il giorno del matrimonio come il più bello della vita, soprattutto per la donna.
Ma sono anche tradizioni che, di per sé', non influiscono sulla sostanza del matrimonio, tanto meno sul Sacramento.
La sostanza del matrimonio consiste nel fatto che i Ministri sono gli sposi e che essi si sposano validamente quando esprimono reciprocamente il libero consenso di unirsi indissolubilmente (cioè per tutta la vita), di avere i figli che Dio vorrà e di prestarsi mutuo aiuto. Si tratta, infatti, di un impegno legato alla natura, che e' quindi di origine divina e non umana.
Anche il matrimonio civile, quindi, è valido; non è necessario che un matrimonio, per essere valido, diventi Sacramento. Però attenzione! Se, p.e., chi si sposa in Comune pensa che non ci sia l'impegno per tutta la vita, perché la legge civile prevede il divorzio, si sbaglia: in un caso del genere, il matrimonio non e' valido di fronte alla natura e quindi a Dio. Che lo sia di fronte alla legge civile, ha importanza solo per quanto riguarda la vita civile (tasse, benefici, ecc.), ma non vale per avere i particolari aiuti che Dio riserva agli sposi; non vale, insomma, per la vita vera, quella che non dipende dallo Stato e che non finisce con la morte.
La quale vita c'è, anche se uno non ci crede. La sostanza del matrimonio in chiesa, poi, è che esso e' anche Sacramento, vale a dire: unione per tutta la vita assimilata al mistero di Cristo e della Chiesa.
E questo e' la caparra per gli speciali aiuti di Grazia che Dio elargisce agli sposi che intendono essere Suoi concreatori. Per il matrimonio in chiesa, quindi, occorre che gli sposi intendano fare quello che intende la Chiesa; perché è la Chiesa che ha avuto dal suo Sposo Cristo di legare e di sciogliere e pertanto di assimilare gli sposi al Suo stesso mistero. Chi si sposa in chiesa e non ha le disposizioni intese dalla Chiesa, sposa di Cristo ( l'abito bianco non c'entra), rischia di commettere sacrilegio, perché è come se offendesse o disprezzasse il Sacramento, considerandolo quasi come un scena di teatro, una pagliacciata.
Che se poi, in tali condizioni, facesse anche la Comunione, rischierebbe di commettere due sacrilegi. Dico "rischia", perché è solo Dio che giudica l'interno dell'uomo. E il sacerdote (o il diacono) che celebra le nozze? Egli e' solo testimone di fronte alla Chiesa e a Dio che i due sposi si sposano come si deve, cioè secondo il pensiero della Chiesa.
Ma egli se ne assume anche la responsabilità. Quindi, se vede che in uno degli sposi o in tutti e due non ci sono le disposizioni necessarie e celebra le nozze rischia di essere complice di uno o due sacrilegi. E adesso al fatto di quel parroco. Dico subito che non mi sento di esprimere un giudizio, perché non so come stiano veramente le cose di quel caso preciso. Potrebbe darsi che le cose non stessero come dice quel catechista; oppure che il parroco abbia pensato bene di sposare, perché la donna, pur tenendo molto alla festa esteriore, era sinceramente intenzionata di sposarsi come vuole la Chiesa; oppure che egli non voleva tagliare quell'ultimo filo che teneva ancora la ragazza legata alla Chiesa; oppure ha pensato che l'ignoranza è... l'ottavo dei Sacramenti; oppure ha avuto qualche altra ragione.
Ha fatto bene o ha sbagliato? Certamente - penso - ha agito in buona fede e per zelo pastorale. Ma basta? Resta, comunque, evidente un grosso problema; e situazioni del genere si fanno sempre più frequenti, coinvolgendo zone sempre più vaste zone della popolazione cosiddetta cristiana. Il problema anzitutto e' morale ed e' quindi dei singoli individui; ma e' chiaro che un pastore d'anime non lo può liquidare dicendo: "s'arrangino".
Il problema, però, e' anche pastorale: si può o non si può tagliare quell'unico cordone ombelicale che lega ancora alla Chiesa molti degli attuali fedeli? D'altra parte, e' lecito o non e' lecito aprire a una tolleranza che, pare, non ha prodotto (almeno finora) molti frutti di bene? Forse, però, il problema e' ancor più profondo e sta alla base: è quello della nuova mentalità secolarizzata che e' invalsa nella gente, ma anche in qualche sacerdote, a causa dei mass media.
Il Papa, nell'Enciclica Redemptoris Missio (art. 37) dice che, a differenza di quanto fatto fin qui nell'evangelizzazione, "occorre che sia il messaggio cristiano a integrarsi in questa nuova cultura prodotta dai mass media". Il Papa, cioè, suggerisce una vera rivoluzione; che dev'essere di "modi" e di strategie; non di principi (invece, qua e là anche qualche sacerdote si sbaglia, pensando che si debbano cambiare i principi).
Il discorso potrebbe essere molto più lungo.