L'amico prof. L.B. mi dice che dovrei essere contento della recente proposta di legge contro la censura, dal momento che mi sono sempre battuto contro di essa e in qualche modo posso considerarmene una delle vittime.
Rispondo: non sono affatto contento, anzitutto perché non sono in grado di dire se la legge che uscirà sarà buona o cattiva; in secondo luogo, perché io sono sempre stato contrario, e lo sono ancora, NON alla censura, BENSI' AL MODO di intenderla e di esercitarla.
E' vero però che mi sono sempre anche battuto per difendere film che meritavano di non essere censurati .
Per LA DOLCE VITA di Fellini sono stato mandato in esilio, per ROCCO E I SUOI FRATELLI di Visconti ho suggerito io al card. Montini di non lanciare anatemi, per IL VANGELO SECONDO MATTEO di Pasolini, applaudito da sei od ottocento vescovi del Concilio, sono stato io a dire che il film non ammetteva la divinità e nemmeno la realtà storica di Cristo, mentre sono stato sempre io a vantare l'ansia del trascendente contro la società materialistica del tempo nel suo censurato TEOREMA; sempre io ho difeso TRISTANA di Buñuel, L'ULTIMA TENTAZIONE di Scorsese, perfino ULTIMO TANGO di Bertolucci, pur con tutte le riserve del caso.
Mi limito a citare questi, perché ne parla "La Repubblica" di oggi 14 marzo '98, che cita, p.e., il mio confratello Trapani il quale, in occasione de LA DOLCE VITA, sollecitava preghiere (ma non invocava censure), anziché il sottoscritto che veniva mandato in esilio per non aver ottemperato alle veline (che non sono quelle di "Striscia la notizia...!").
Mi pare dunque di avere le carte in regola.
Ebbene, sono stato e sono contrario alla censura, ma per come essa è stata impostata fin dai tempi di Andreotti e per come essa è stata esercitata anche dai cattolici, i quali non sempre avevano sufficiente competenza specifica; p.e. spesso, il principale, se non unico, criterio di valutazione morale negativa di un film era l'esibizione di nudità oltre certi centimetri di pelle, mentre poi si lasciavano passare situazioni che, certo immuni di immagini impudiche, hanno contribuito a creare quella mentalità secolaristica e amorale che oggi anche i nostri vescovi tanto lamentano.
Sulla citata "La Repubblica" di oggi , Beniamino Placido ironizza : la censura "Hanno abolito la censura cinematografica, finalmente... perché non era una cosa seria. Accadeva che un gesuita particolarmente vivace interveniva per dire la sua. Ma no, ma suvvia, ma cosa avete capito? Non avete visto bene. Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini è un film a suo modo intensamente religioso. ecc.."
Mi permetto osservare: se quel "gesuita vivace" fossi stato io (e chi altro poteva essere a quei tempi, per di più "seguito" da un domenicano?), il buon Placido o non è informato o non ricorda bene le cose, se è vero quel che ho detto qui sopra.
E' vero però che ("Ma suvvia, cosa avete capito?") io ho sempre sostenuto che la moralità di un film - che è un fatto complesso - si deduce soprattutto da quello che esso "esprime" e non solo da quel che "fa vedere o ascoltare" ("espressione" di idee e non solo "rappresentazione" di azioni) e che prima di giudicare un film è necessario averlo "letto", cioè capito; e non solo visto.
I censori di allora, e molti anche di oggi, sembravano e sembrano non aver ancor capito questo basilare principio.
D'altra parte, la "moralità" di un film non coincide con la sua "visibilità".
La censura può e ci deve essere circa la moralità; perché, come non è lecito violare i diritti dell'uomo circa la vita materiale, così non può essere lecito violarne i diritti morali e spirituali.
Ma anche molti di quelli che in questi giorni hanno parlato o fatto parlare di censura dimostrano di non aver chiare idee in testa. E talvolta, purtroppo, non hanno nemmeno l'onestà per impostare una discussione su parametri corretti: oltre la competenza specifica, il rispetto della parola di ciascuno e l'evitare i discorsi fuorvianti.
"La nostra storia" di Rai2 della sera del 12 marzo è stata un esempio di quello che una trasmissione che si rispetti non dovrebbe essere.
Mi è stato sufficiente quel poco per ho visto per cogliere alcune chicche ; p.e. la Parietti era messa alla pari con Zeffirelli, una zanzara che vuol pungere un elefante, che urla per non far sentire quello che l'esimio regista-senatore dice; e, per di più, lei, con affermazioni assolutamente ignoranti, per non dire cretine, come questa: "Ognuno ha i suoi valori. I valori sono quelli che uno si dà"! E chi si contenta gode.
Ma - diciamo ancora - cosa c'entra la Parietti in un dibattito che dovrebbe essere serio come questo? Forse solo per fare la pubblicità (veramente pietosa, solo per allocchi), in fine trasmissione, al film IL MACELLAIO in cui l'unica cosa interessante - lo dicono i macellai intervistati - è lei che si spoglia.
A questo punto è arrivata la Rai, servizio pubblico pagato coartatamente con i nostri soldi? Ancora, sempre p.e.: il conduttore interpella don Claudio Sorgi; e appena questi sta tentando di portare la discussione sul giusto binario (non è problema di arte, bensì di comunicazione), il conduttore (evidentemente pre-imboccato) lo sovrasta per non farlo sentire e lo interrompe.
E ancora. L'on. Giovanna Melandri afferma: "I valori fondamentali dell'uomo, in una democrazia, sono tutelati dalla Costituzione e dal Codice. Questo è il punto." Si noti bene questo "punto"! E continua: "Quello che è in discussione è se sia legittimo che una commissione di Stato possa stabilire quello che un cittadino maggiorenne può o non può vedere."
(·) "Se un regista, impazzendo, fa un film ledendo il senso del rispetto, p.e. contro l'Olocausto, ci sono i giudici, i magistrati, la Costituzione." (Zeffirelli contrasta. Il conduttore chiede il parere dell'incompetente Parietti...)
Ma circa la Melandri, osservo: anzitutto, a parte che - democrazia o non democrazia - i valori fondamentali dell'uomo sono di ordine ben superiore (non è questione di chi crede o non crede), ci si chiede anzitutto: quali sono questi valori? (in una democrazia, poi...) e come lo Stato può tutelarli? e in base a quali criteri il Codice può giudicare?
In secondo luogo, la Commissione di Stato ha o non ha il potere di tutelare quei valori almeno secondo il Codice?
Ma è da notare - ed ecco dove il Codice attuale può e deve essere corretto - che lo Stato o una sua Commissione non deve giudicare quello che un maggiorenne può o non può vedere, bensì se una certa opera (film, trasmissione, ecc.) è non è contro quei valori; cioè, come minimo, se rispetta o lede i diritti di tutti i cittadini.
Ma allora ritorna il problema di base: non è questione né di libertà di stampa, né di arte o non arte, né di libertà di scelta, né di confronto con altre forme d'espressione e nemmeno propriamente (benché si tratti di un fondamentale dovere) di difesa del più debole.
E' questione di diritto di ciascuno di non essere ferito o addirittura ucciso anche nello spirito e non solo nel corpo.
Negando il criterio della censura (ovviamente impostata secondo verità e giustizia e carità), praticamente si apre la porta alla licenza di uccidere.