L'esperienza del profeta Amos raccontata nella prima lettura ci mostra il criterio che Dio usa per eleggere coloro che portano la sua parola: 'Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomoro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge'. Il Signore non vede l'apparenza, Lui guarda il cuore. Il profeta, il missionario, l'inviato, il cristiano non viene scelto da Dio in base alle sue qualità umane, né perché è raccomandato da qualcuno. C'è sempre il rischio, anche nella Chiesa, di cadere nel sottile inganno del 'dover essere all'altezza' o del cercare garanzie umane in coloro che vengono scelti per una determinata missione. Non è questa la logica di Dio. Dio non sceglie in base a qualità umane o doti particolarmente spiccate ed evidenti ('Non ero profeta'), né in virtù di legami umani che farebbero da garanzia ('né figlio di profeta'). Lo sguardo di Dio punta ad un cuore capace di mettersi a disposizione delle meraviglie che Dio vuole compiere, non per i meriti del chiamato, ma per la grandezza della sua grazia. C'è un secondo aspetto. 'Ero un mandriano e coltivavo piante di sicomoro'. Dio non valuta gli esseri umani attraverso le nostre categorie. Chi di noi si rivolgerebbe ad un mandriano o coltivatore di sicomori se fosse incaricato di scegliere qualcuno che deve parlare a nome di Dio? Magari sceglieremmo certamente un uomo di fede, ma che sia anche molto colto, forbito nel linguaggio, eclettico, conoscitore di numerose lingue. Questo vorrebbe la logica umana. Per Dio non è così. Dio si serve di ciò che nel mondo è debole per manifestare la sua grandezza. Il suo sguardo cade sempre sui piccoli, sui poveri, sugli esclusi. Ed infine un terzo aspetto: 'mi chiamò mentre seguivo il gregge'. Ci aspetteremmo un contesto scenografico da chiamata divina con opportuni effetti speciali. Anche qui la logica di Dio ci sorprende: il luogo della chiamata è la nostra quotidianità. Amos viene chiamato durante il suo lavoro, mente segue il gregge. Così si manifesta Dio, nell'apparente monotonia di tutti i giorni. Quanto è difficile cogliere la presenza di Dio lungo le nostre giornate. Eppure ciò che noi viviamo spesso con noia, sfiducia, stanchezza, è il luogo in cui il Signore si manifesta, donando ai suoi amici, e quindi anche a noi, i suoi doni più belli e una chiamata a realizzare qualcosa di grande e di bello per Lui e con Lui. E' proprio questo il punto di partenza del vangelo: Gesù chiama a sé. La missione scaturisce da una chiamata. Non si tratta di progetti umani che, per quanto belli ed entusiasmanti, partono da noi e finiscono con noi. Qui si tratta di un disegno di Dio che parte esclusivamente da un rapporto con il Cristo e che, certamente, è destinato ad andare oltre noi stessi, oltre le nostre capacità, oltre le nostre aspettative. Come fare ad accorgersi di questo? Come fare ad entrare in questa logica divina? Il punto di partenza innanzitutto è iniziare a chiederselo: a cosa Dio mi sta chiamando? Sarei disposto a fare qualsiasi cosa Dio mi chieda oppure desidero soltanto avere l'illusione che Dio benedica i miei progetti umani, senza mettere realmente in gioco la mia libertà? Per coloro che non scendono a compromesso con il Cristo ma si aprono a qualsiasi evenienza, Gesù stesso oggi promette potere sul maligno, sullo spirito del male, garantisce la sua presenza e provvidenza che conduce il discepolo a non portare con sé nessuna certezza umana, né materiale, né affettiva. Lui è la garanzia. Lui provvede ad ogni cosa. Ed attraverso la povertà del discepolo verrà fuori la sua grandezza. Ma non si tratta di una vita da poter improvvisare: alla base ci deve essere un rapporto con il Signore Gesù che chiama. Lui è l'autore. Lui sa ciò che c'è nel cuore dell'uomo. Lui sa cosa è meglio per me.