Il concetto di Dio come Trinità appare nelle ultime parole del Vangelo di Matteo quando Gesù risorto dà agli Apostoli il mandato di “ammaestrare tutte le genti battezzandole nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo”.
Ma la parola “Trinità” effettivamente, non appare nelle pagine dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli, tanto meno nell’Antico Testamento. Si parla con Paolo del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo nella prima lettera ai Corinti 12,4 e nella seconda 12,13.
Nella prima lettera di Giovanni 5,8 , detta nella tradizione “comma” perché è una aggiunta molto posteriore, probabilmente del 6° secolo, appare la triade: Padre, Parola, Spirito Santo. Paolo, nella lettera agli Efesini 4,4 , pone un ampliamento della formula trinitaria con la terminologia: “l’unico Dio, l’unico Signore, l’unico Spirito”, mettendo in evidenza l’azione salvifica di Dio inviando prima il Figlio, poi lo Spirito del Figlio, per continuare in terra la sua opera.
Certamente Paolo appare preoccupato che, nella formula trinitaria, qualcuno possa pensare a tre divinità perché nella prima lettera a Timoteo 2,5 afferma: “un solo Dio, unico anche lui mediatore tra Dio e gli uomini: l’uomo Cristo Gesù”. In un tempo in cui l’olimpo greco-latino pullulava di divinità, Matteo, nel suo Vangelo: “Nessuno sulla terra chiamerete vostro padre perché uno solo è il vostro padre, quello celeste, uno solo è il vostro maestro: il Cristo”.
Comunque Dio venga chiamato, Signore, Dio, Spirito Santo, Padre, si tratta di un nome proprio, è solo l’espressione della comunione tra “l’Unico e l’uomo”. Sono nomi che non hanno significato di per sé, ma che esprimono relazione come avviene anche nei rapporti umani: quando si chiama una persona padre, maestro, moglie, marito, si definisce il proprio rapporto con l’altro, rapporto di figlio, alunno, marito, moglie. Così, quando noi invochiamo Dio per nome o parliamo di Lui o vogliamo “fare teologia”, qualunque sia il vocabolo che usiamo, è sempre “Dio” la parola della tradizione unica che usiamo da millenni per Lui.
Quando i Vangeli parlano di rimanere nella parola o nell’azione dello Spirito, intendono affermare che questo incontro deve sempre più rinnovarsi, che la conoscenza di Dio è viva e densa di sempre nuova espressioni, nel tentativo, anzi nel desiderio di trovare nel linguaggio qualcosa di più e di meglio che possa incidere nell’animo. Il discorso sulla “teologia” nell’interno di un discorso sempre più vasto e aderente alle civiltà in cammino, non finisce mai.
Alla fine dobbiamo accorgerci che la definizione su Dio è questa: Dio è Dio.
Nello stesso tempo non bisogna bollare di anatema chi tenta di inventare un sempre più adeguato discorso su Dio, cioè fare una “teologia sul tempo in cammino”. Alla fine, dal momento che la mente umana non può offrire analogie su Dio, verrebbe da chiedersi se sia più conveniente parlare dell’uomo e della donna. Ci si accorge subito che parlando dell’uomo e della donna, si conoscono, intanto, delle falle che sono terribili, e poi, non è assolutamente possibile sottrarsi, in nessuna maniera al rapporto con Dio.
L’umanità si accorge che, o prima o dopo, il suo cammino di testa e di cuore ha sempre a che fare con una presenza fuori di sé, ma che ti raggiunge nel corpo e nell’anima, dalla testa ai piedi, ti tormenta e poi ti allieta se lo stai ad ascoltare. Sta qui ora il problema: se non lo ascolti ti manca “lo sprint” per accelerare il cammino che certamente hai di onestà e virtù per sconfiggere le brutte ombre che ci avvolgono.