Parlare dell’uomo e rivendicare la sua meravigliosa entità, oggi, è doveroso: molti, infatti, i pericoli di dissoluzione del concetto di uomo. Il concetto della dissoluzione dell’uomo non è stato in un primo momento di tipo filosofico, scientifico o morale, ma addirittura di stile estetico.
Il “Nuovo Romanzo”, il “Teatro dell’assurdo”, il cinema da cinquant’anni ad oggi hanno delineato dei temi che sono stati ripresi da etnologi, biologi e filosofi come IL DESERTO DEI TARTARI, l’APOCALISSE NOW: l’immagine di un pianeta deserto, di una comunità che scompare, di un individuo che si disintegra, è diffusa da tanto tempo.
Un personaggio di Beckett, che scriveva romanzi nell’immediato dopo guerra, dice: “Io non esisto, il fatto è evidente”! La soppressione della forma umana, che Focault descrive al termine del suo libro del 1966 “Le parole e le cose”, ritorna in Levi-Straus alla fine dell’”uomo nudo” del 1971.
Sono libri che sembrano favole ed oggi, invece, sono diventati realtà. Si pensi poi a Picasso e De Chirico in cui l’uomo è spezzettato, mercerizzato, robotizzato.
Tempo fa, la rivista “Preuves” parlando degli intellettuali dice: “Prima di pensare la morte dell’uomo, la nostra epoca la vive”. Dopo aver avuto i campi di sterminio all’epoca di Hitler, oggi abbiamo le carestie, il sottosviluppo, uccisioni di massa, anzi, etnocidi e la prospettiva di una guerra atomica, inquinamenti mortali, la droga, l’aborto.
Anche la tecnica fa paura. L’uomo non si sente più necessario in una rete di segnalazioni di controllo, dove si trova normalizzato; non c’è più bisogno di un personaggio, basta un essere qualunque, un bottone. Dall’anonimato dell’uomo si passa al suo assassinio, dalla negazione del valore della vita alla negazione dell’esistenza.
È chiaro che bisogna reagire. Il filosofo Heiddeger parla di “esserci”. Qual è la via per conseguire comunque la vera felicità? Che cosa è la morte, il giudizio? C’è una sanzione dopo la morte? Quale è, infine, quell’ultimo e ineffabile mistero che avvolge la nostra esistenza dal quale procediamo e verso il quale noi andiamo?
Impostare questi interrogativi è già formulare una domanda religiosa. In fondo a questa risposta appare sempre Dio. Ogni uomo è chiamato ad esprimersi religiosamente. La dimensione religiosa appartiene alla nostra struttura antropologica, come chiaramente lo riteneva già la scuola psicologica di Jung. Secondo questo grande rappresentante della psicologia del profondo, gli strati più nascosti della psiche umana nella sua zona incosciente personale e collettiva hanno carattere religioso.
Ogni uomo possiede una disposizione religiosa fondamentale e inalienabile, ma non tutti fanno di essa il progetto fondamentale della propria vita, quello che determina e qualifica le loro esistenze.
Non è facile coltivare questo spazio interiore, come non è facile coltivare certi spazi di estrinsecazione di se stessi come l’amore, l’amicizia, il sacrificio,il servizio per gli altri …
L’uomo religioso, diceva Palo VI°, è uno specialista di Dio e delle cose religiose che sono le più alte e determinano la struttura dell’individuo al massimo del dovere e della bontà.