In questa domenica i cristiani, nella loro convocazione domenicale per celebrare l’Eucarestia, ricordano una delle poche ma preziosissime parole che, quasi sicuramente, uscirono fisicamente dalla stessa bocca di Gesù nei suoi incontri di salvezza: 'Effatà!', che significa: 'Apriti!
La pronuncia per liberare un sordomuto dalle sue chiusure, fisicamente delle malattie che lo facevano soffrire da tanto tempo, spiritualmente per farlo diventare l’icona delle sue e delle nostre chiusure che ci umiliano e chiudono nella paura e nel tormento e che pertanto hanno bisogno di una liberazione che ci ridia la gioia di vivere.
Preparando questa predica stavo raccogliendo documentazione da tanti preziosi contributi di studiosi e di predicatori:
Gesù lo trascina lontano dalla folla, dalla confusione, dai curiosi.
Gesù cerca un incontro personale vero, non una dimostrazione in piazza. Garantisco, è così!
L’ho sperimentato molte volte sulla mia pelle: per incontrare il Signore Gesù bisogna avere il coraggio di sottrarsi alla folla, di ritagliare uno spazio per lasciarsi incontrare e farsi raggiungere.
– Consideriamo il Vangelo di oggi come se noi fossimo spiritualmente sordi e muti.
Che cosa vuol dire?
Non sentiamo la voce del Signore perché siamo sordi; non possiamo pregare, esprimere la nostra preghiera in parole, perché siamo muti.
Siamo, cioè, ostacolati.
Quali sono i demoni odierni che ci fanno sordi?
Il rumore fisico esteriore è certamente un elemento da prendere sul serio.
Abbiamo paura del silenzio. Il nostro mondo è saturato da un rumore costante: la televisione, la radio, la musica, le chiacchiere, le parole infinite. E per questo diventiamo sordi.
Ma c’è di più.
Se riusciamo a stare in silenzio anche per un brevissimo tempo, si percepisce subito un rumore interiore: i nostri pensieri che saltano e balzano nella nostra mente come scimmie sugli alberi con i loro gridi incessanti.
Molti ospiti che vengono al monastero per la prima volta, quando sperimentano il silenzio esteriore della clausura e il rumore interiore dei loro pensieri, si spaventano.
Sì, siamo sordi, e non possiamo sentire la voce del Signore.
Ma siamo anche muti. In che senso? Non conosciamo la lingua della preghiera, non conosciamo il vocabolario, la grammatica, la sintassi della preghiera.
Non riusciamo a formare con la nostra lingua i suoni adatti o la pronuncia giusta.
Siamo muti davanti a Dio.
Proprio mentre facevo questo studio per giungere ad una mia, molto più semplice e modesta, proposta di una predica che fosse “mia” ma anche, in qualche modo, stimolante e arricchente, mi è giunto l’annuncio e richiesta di preghiera prima e poi la notizia della morte del Cardinal Martini, uno dei miei maestri e modelli di vita più cari e intimamente amatissimi e di preziosa compagnia.
Certo è morto, ma io sin da subito l’ho pensato e interiormente “visto” risorto e finalmente liberato dalla croce della sofferenza e felicemente abbandonato tra le braccia di Dio, al cui servizio, da vero gesuita, ha consacrata tutta la vita come servo instancabile e coraggioso.
Nello stesso tempo mi è venuto in mente che una delle sue più belle e intense lettere pastorali alla Diocesi di Milano era intitolata esattamente con questa stessa parola di Gesù: Effatà apriti (1990-91).
Sono certo che qualche espressione di questa sua lettera pastorale è infinitamente più efficace di qualsiasi mia predica … permettetemi di lasciare a lui la parola, per ricordarlo con intimo amore e venerazione e per ringraziarlo di quanto ci ha instancabilmente donato con tutta la sua persona e la sua esistenza.
«“Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole” (Gen 11, 1).Così la Bibbia idealizza quei primordi felici in cui gli uomini si potevano intendere con facilità e spontaneità.
Ma impegnati in un gigantesco sforzo che avrebbe dovuto consacrare la loro onnipotenza tecnologica, gli uomini non seppero reggere alla tensione: si confusero e poi si dispersero.
Tale confusione è considerata dalla Bibbia un castigo divino, che lega per sempre al nome di una città il simbolo della confusione dei linguaggi e della fatica che gli uomini e le culture fanno a intendersi tra loro: “La si chiamò Babele, perché il Signore confuse la lingua di tutta la terra” (Gen 11, 9).
Babele rappresenta dunque l'impossibilità di tutti gli umani a parlare tra loro con un unico linguaggio. …
Babele è il luogo degli appuntamenti mancati: le lingue non si intendono, gli equivoci si moltiplicano e la gente non si incontra. …
Babele è il simbolo della non-comunicazione della fatica e delle ambiguità a cui è soggetto il comunicare sulla terra. …
Babele è anche il simbolo di una civiltà in cui la moltiplicazione e la confusione dei messaggi porta al fraintendimento.
….
Nasce di qui la domanda angosciosa: E' possibile incontrarsi in questa Babele, inserire anche in una civiltà confusa luoghi e modi di incontro autentico? è possibile comunicare oggi nella famiglia, nella società, nella Chiesa, nel rapporto interpersonale? come essere presenti nel mondo dei mass-media senza essere travolti da fiumi di parole e da un mare di immagini? come educarsi al comunicare autentico anche in una civiltà di massa e di comunicazioni di massa?
A tante domande sulla malattia del comunicare umano contrapponiamo ora una scena di risanamento. Contempliamo Gesù nel momento in cui sta facendo uscire un uomo dalla sua incapacità a comunicare. Si tratta della guarigione del sordomuto raccontata in Mc 7, 31-37. S. Ambrogio chiama questo episodio -e la sua ripetizione nel rito battesimale - “il mistero dell'apertura”: “Cristo ha celebrato questo mistero nel Vangelo, come leggiamo, quando guarì il sordomuto” (I misteri, I, 3).
……
Ciò che avviene a seguito del comando di Gesù è descritto come apertura (“gli si aprirono le orecchie”), come scioglimento (“si sciolse il nodo della sua lingua”) e come ritrovata correttezza espressiva (“e parlava correttamente”).
Tale capacità di esprimersi diviene contagiosa e comunicativa: “E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano”.
La barriera della comunicazione è caduta, la parola si espande come l'acqua che ha rotto le barriere di una diga.
Lo stupore e la gioia si diffondono per le valli e le cittadine della Galilea: “E, pieni di stupore, dicevano: 'Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti'” (7, 35-37).
In quest'uomo, che non sa comunicare e viene rilanciato da Gesù nel vortice gioioso di una comunicazione autentica, noi possiamo leggere la parabola del nostro faticoso comunicare interpersonale, ecclesiale, sociale.
…. Il comunicare autentico non è solo una necessità per la sopravvivenza di una comunità civile, familiare, religiosa.
È anche un dono, un traguardo da raggiungere, una partecipazione al mistero di Dio che è comunicazione.»
don gigi di libero sdb