Siamo in Quaresima. Per i credenti o no, è il periodo dell’anno che fa bene a tutti, perché ci fa meditare sugli ultimi momenti della vita di Gesù fino al Calvario. Se tu fissi attentamente le formelle della Via Crucis esposte in tutte le Chiese, la tua mente, anche se non sei credente si riempie di interrogativi che ti fanno bene e ti rinnovano.
I quadri della Via Crucis della mia Chiesa sono dello scultore e pittore Marcello Tommasi. Pensando a lui, così disarmante, così amico, così semplice, quanto vorrei scoprire che cosa succede nella sua mente quando scolpisce la schiena di Gesù che porta la Croce, le Sue mani e i Suoi piedi trafitti da chiodi, i muscoli tesi delle braccia e delle gambe, le vene che scoppiano, il viso dolcissimo, pur solcato da lacrime, di Mamma Maria di fronte al diabolico ghigno del soldato e al respiro ora affannoso, ora calmo di Gesù!
Quel bronzo parla: te la senti nell’anima la voce di Gesù che rasenta la disperazione: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato!” e subito dopo : “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
L’autore Marcello Tommasi è l’uomo “che ha capito” la Via Crucis. In quei “quadri” avverti come un respiro: basta far silenzio e star fermi con gli occhi fissi su quelle sculture e lo avverti quel respiro che ti rinnova.
La quattordici “stationes” della “Via Crucis” sono un esercizio salutare della mente, pur sapendo che non saresti capace di ripeterle : tuttavia viene il momento in cui devi piegarti per forza a qualcosa di simile, non tanto per te stesso, quanto per il prossimo che hai sempre davanti e che ha bisogno di aiuto, talora, rischioso per poterlo salvare.
Il sacrificio volontario di Cristo per noi è il tema specifico della lettera agli Ebrei. Il sangue di Cristo ha definitivamente purificato la nostra coscienza ed ha ottenuto una redenzione eterna. Sono diventati superflui quei sacrifici sull’altare soggetti a continue ripetizioni nelle religioni prima di Cristo. Nell’espressione greca “hapax” - una volta per tutte – ripetuta spesso nell’epistola agli Ebrei, il sacrificio del Cristo storico e unico viene definito insuperabile, irripetibile e completo.
Da allora in poi qualsiasi altare che non sia un riferimento a quello del Golgota, ha perso ogni valore. La Chiesa, infatti, vive del sacrificio del Cristo ed è chiamata all’offerta della propria esistenza con Lui. La vita cristiana, vita santificata da Dio, è frutto continuo del sacrificio del Cristo. Questo concetto non deve apparire in noi soltanto nella Settimana Santa di ogni anno, ma deve essere il pensiero di ogni giorno.
Così come afferma Pietro nella sua lettera, possiamo affermare che siamo salvati e santificati “con il prezioso sangue di Cristo”. E la Chiesa è costruita per un “sacerdozio santo, al fine di offrire sacrifici spirituali graditi a Dio”. Per Paolo tutta la vita dei credenti deve essere un sacrificio “ vivente, santo e gradito a Dio” (Rom 12,1).
Per questo la nostra giornata è un “culto spirituale”. Questo concetto non vuol dire fuggire dal mondo, ma un “vivere per il mondo”.
Giovanni Battista Chiaradia