La parola “Spirito” domina nella nostra lettura, fin dalla antichità ancestrale come potenza distinta dalla materia.
Lo si nota nei primi reperti in cui non esiste la parola, ma solo l’immagine che si presenta travolta dal grande al piccolo, dall’orizzonte al verticale, dal pesante al leggero.
Si ha l’impressione di una fuga dalla staticità opprimente e soffocante, nel tentativo impaziente ed inquieto verso un respiro di libertà dove trovi, finalmente, il volatile, il leggero.
Si ha l’impressione di una fuga dalla staticità opprimente e soffocante, nel tentativo impaziente ed inquieto verso un respiro di libertà dove trovi, finalmente, il volatile, il leggero.
Difatti dominano, in quelle rupestri immagini, le ali: il nibbio, la colomba, la farfalla, l’aquila.
È qui, nelle ali, nella leggerezza, direbbe Italo Calvino, che la creatura umana, avvolta nella pesantezza, coglie l’irrompere del sacro: proprio dalle ali prende coscienza di una realtà trascendente che imprime nel pesante della cosa la sua dimensione di imponderabile, di volatile, di leggero.
Nel primo linguaggio della grecità, in Omero, in Pindaro, in Sofocle in cui si fonda il nostro linguaggio e quindi il nostro sapere, nasce il vocabolo “neuma” = spirito, che si pronuncia a labbra chiuse, tanto da presentarsi quasi un soffio: fenomeno, meraviglia della parola dei nostri progenitori.
Di lì si organizza una poetica tra il cosmico all’esterno, il tremolio di ombre e di luci all’interno: e si inizia a scoprire una realtà diversa dalla pesantezza arrogante della materia.
Nasce così la religione, dal latino “relegere”: rileggere, leggere tante volte tanto da scoprire che non si è soli nel mondo, perché al di là degli spazi umani, fortemente concisi e limitati, deve pur esistere qualche cosa di diverso, di contrario.
Chi sei? Che cosa sei?
Ma in questa interrogazione scopri che ciascuno di noi vive già in una sfera completamente diversa da quella pesante della cosa e del corpo: è lo spazio dell’amore, dell’angoscia, della gioia e della melanconia, della tranquillità e della paura, che concorrono a stabilire l’uomo integrale che cerca di sottrarsi dal suo momento storico per respirare un’altra sfera di vita che gli è più consona, per svincolarsi soprattutto dal se stesso in lotta continua contro la morte, per poter vivere finalmente senza confini.
Ecco allora che quel tale primitivo della antichità ancestrale guardando il cielo, le stelle, il mare e la montagna, sentendo i suoni della foresta, l’avvicendarsi del giorno e della notte, si accorge di non essere solo.
Cercherà di conoscere il perché delle cose che ha attorno, ma non gli basta la scienza, perché nelle cose c’è pure una sapienza che non può definire con una proposizione logica.
Si organizza così una forma elementare di culto verso uno “spirito” che ha disegnato la natura di luci e di ombre impossibili ad essere definite.
Finché giungerà la vera entità dello “Spirito”.
Nel Vangelo lo “Spirito” domina dall’inizio alla fine.
È Dio stesso che dona la vita all’umanità e alla creazione, compagno di strada di tutti noi.
Dio come mente, pensiero, parola, per essere civili, prima ancora di essere religiosi.
Avvertilo nel passo è dovere, per restare in piedi.
Giovanni Battista Chiaradia