Dopo tanto girovagare da una Sacrestia all’altra per imparare qualche cosa di filosofia e di teologia dai Parroci e dai Conventi e dopo aver frequentato il Seminario di Ecully, il 13 Agosto 1815 Giovanni Maria Vianney fu ordinato Sacerdote.
Il giorno dopo ci fu la prima Messa nella cappella del Seminario. Lui all’altare principale, mentre contemporaneamente su altari vicini celebravano la Messa due cappellani dell’esercito austriaco.
Giovanni Maria Vianney lo ricorderà spesso: «Ho celebrato la prima Messa tra due Messe austriache».
In ogni passo di questo umile Sacerdote una sorpresa, una novità, l’inconsueto, lo strano, soprattutto la sofferenza, l’angoscia: dall’inconsueto delle ciabatte, dell’ombrello, dello specchio, alle dure bocciature agli esami e finalmente alla prima Messa, ma tra due preti austriaci.
Quando girovagava da una sacrestia all’altra per non farsi prendere dalla polizia, veniva sempre accolto quasi con venerazione perché la sua presenza spariva per la sua umiltà, la sua grazia, quel particolare che, difficilmente, si può esprimere a parole.
È vero che dalle persone, le più insignificanti, traspare un qualche cosa che non sai che cosa sia: non è commozione per chi si presenta affamato, ferito, malato. C’è qualche cosa, che supera il momento.
La persona ti guarda senza parlare, sta in piedi davanti a te e ti getta addosso un manto di meraviglia che ti conquista, ti calma, ti ingentilisce, ti alza il tono.
È il sacro che non puoi definire. Lui, quel ragazzo spaurito, con le immancabili ciabatte che porterà anche nella celebrazione della prima Messa!
I Parroci restavano colpiti, stupefatti dal modo in cui stava davanti al Tabernacolo e davanti al Confessionale: lì, fissandoli, tra sgomento e sollievo, tra implorazione e gratificazione.
Parroci e fedeli restavano proprio annientati da quella presenza di un nulla che diventava un’immensità di interrogativi. Chi è quel ragazzo? Perché mi lascia addosso qualche cosa che non so esprimere? Che cosa ha nel viso, nell’anima quando ti punta lo sguardo addosso?
In questi giorni una sorpresa. Accanto al curato d’Ars, il Papa ha dichiarato «beato» don Carlo Gnocchi (1902-1956), conosciuto per il suo «stare con i ragazzi» malati, specialmente i poliomelitici che avevano bisogno di dare un significato alla loro sofferenza. Poi quei ragazzi, cresciuti e vestiti con la divisa militare degli alpini, egli li seguì come cappellano militare nelle montagne dell’Albania e nelle pianure ghiacciate della Russia, nella guerra del 1939/1945.
Per Lui una motivazione ulteriore sarà, nel dopo guerra, «stare» ancora con i ragazzi i «mutilatini» colpiti, specialmente nel milanese, dagli aerei nei frequenti bombardamenti.
Reduce dalla campagna di Russia, ancora come cappellano militare tra immensi pericoli, aiutò ebrei e soldati americani, sfuggiti dai campi di prigionia, a tornare nella loro patria.
Nel curato d’Ars e in Don Gnocchi trovo una comune risonanza in toni diversi, «la salvezza ad ogni costo».
Il loro campo di vita è racchiuso nel detto lapidario di Luca negli Atti degli Apostoli; «Gesù Cristo, il Nazzareno,… non c’è in nessun altro la salvezza: nessun altro nome sotto il cielo è stato concesso agli uomini per il quale siamo destinati a salvarci» (Atti 4,11).
Mons. Giovanni Battista Chiaradia