A proposito di cristiani, non è tanto raro sentirne parlare come di persone rassegnate, un tantino fataliste e rinunciatarie.
Hanno rinunciato a sogni e illusioni e trascinano la loro esistenza accettando quello che la vita passa da sopportare e da elaborare faticosamente.
Consolandosi (o drogandosi!) ogni tanto con preghiere di invocazione e suppliche lamentose nella speranza che qualcuno davvero ci sia e ascolti, o per lo meno prenda in considerazione, i problemi e le catastrofi.
Insomma, diciamo così, persone passive che si esercitano in ogni possibile sopportazione, facilmente confondibili con inetti e perdenti.
Ben altro il tono e il discorso che rileviamo sulla bocca del Gesù negli ultimi suoi giorni di vita.
È proprio lui, come ci ricorda Marco nel suo Vangelo (capitolo 13), che sferza i credenti e tutti coloro che lo ascoltano perché sappiano vivere con pienezza e responsabilità l’avventura della storia personale e delle nazioni, anche di fronte ad avvenimenti che mettono in crisi ed esigono risposte forti e compromettenti.
La prima cosa che Gesù esige è che noi tutti apprendiamo a saper “leggere” gli avvenimenti, i segni dei tempi, come la presenza e vicinanza del Signore nelle vicende che viviamo.
Questa “lettura” intelligente, profonda e profetica, ci deve rendere atti a due comportamenti davvero difficili e, a modo loro, “compromettenti” (nel senso che non lasciano tranquilli).
Il primo comportamento lo impariamo dal germogliare del fico: come il fico germogliante è il segnale inequivocabile della rifioritura della natura, così i segni cosmici, le guerre, le calamità saranno il segnale indefettibile del ritorno del Figlio dell'uomo per giudicare i popoli
Il secondo comportamento consiste nell’evitare nel modo più fermo ciò che la maggioranza degli uomini (anche i cristiani più "vicini") fanno: scansare l'idea di questa scadenza così scomoda, dedicandosi a quant'altro possa farcene dimenticare.
In questo senso, nel testo evangelico, si trovano tre verbi assai significativi e così facili da riscontrare nel quotidiano che viviamo con i nostri fratelli e sorelle: “dissipare”, riguarda tutti coloro che consumano un patrimonio positivo in cose futili, “ubriacarsi”, che vuol dire alienarsi per non pensare: nell'alcool, nella droga, nello sballo, nel divertimento, nel lavoro, etc., “affannarsi nella vita”, il farsi assorbire da miriadi di problemi quotidiani per non entrare profondamente nel nostro vero problema esistenziale.
La seconda cosa che Gesù esige da noi tutti, in questo suo impegnativo discorso sui tempi ultimi e decisivi della storia, è di prendere coscienza che visto che questa fine ineluttabile dei tempi (e comunque questa fine ineluttabile della tua vita) arriverà, è necessario vivere in un continuo stile di vigilanza e così prepararsi responsabilmente.
Qui entra in gioco il pensiero della morte, esperienza comune a tutti, che spesso viene usato come una clava con cui spaventare e colpire ogni persona per intimorirla e ridurla a sana ragione …
Spesso, purtroppo, anche i cristiani hanno parlato della morte come spaventoso castigo e come elemento di paura e di raggelante disprezzo della vita e delle sue gioie e bellezze.
Intanto mi piace molto condividere qui un pensiero che faccio sempre quando rileggo questa pagina del vangelo: credo che sia una autentica prova della finezza e dell’amore misericordioso di Dio Padre l’averci tenuta segreta in modo assoluto l’ora e il giorno della nostra morte.
Se l’avessimo potuto scoprire, ad un certo punto della nostra esistenza, credo che da quel momento la nostra vita sarebbe stata davvero un inferno di tensione e di vigliaccheria: ci avrebbe bloccato in ogni aspirazione, in ogni sogno, in ogni speranza e in ogni forte volontà di andare avanti e di combattere con tutte le nostre energie per vivere e per terminare vincendo e non schiacciati e atterriti!
Ma vorrei concludere con una leggenda popolare che mi apre il cuore ogni volta che me la ripropongono:
«Abramo, ormai vecchissimo, era seduto su una stuoia nella sua tenda di capo tribù,
quando vide sulla pista del deserto un angelo venirgli incontro.
Ma quando l'angelo gli si fu avvicinato, Abramo ebbe un sussulto: non era l'angelo della vita, era l'angelo della morte.
Appena gli fu di fronte Abramo si fece coraggio e gli disse: "Angelo della morte, ho una domanda da farti: io sono amico di Dio, hai mai visto un amico desiderare la morte dell'amico?".
L'angelo rispose: "Sono io a farti una domanda: hai mai visto un innamorato rifiutare l'incontro con la persona amata?".
Allora Abramo disse: "Angelo della morte, prendimi".»
Mi auguro che sia un momento di grande gioia e speranza anche per chiunque sia arrivato a leggere fin qui!
Don Gigi Di Libero sdb