Facce e volti a confronto - di Mons. G.B. Chiaradia

Ogni volto reca una traccia del Volto di Dio

01/08/2009
Il tema della scorsa settimana «Facce e volti nella crisi» è stato gradito, tanto che alcuni mi hanno chiesto di continuarlo anche oggi.
Inoltre, chissà come, mi capita sott’occhi un testo di Gianni Ceronetti: «La musa ulcerosa» che mi colpisce: «I volti sono del corpo? A volte ne dubito, sembrano avere una vita indipendente: incontrarsi senza il peso del resto, vengono direttamente dalla demonia o dall’angelico, dal profondo o dall’altro».
Davvero, religione o no, potrebbe essere un esame del nostro io. Il volto può dire la coscienza della persona? Può rivelare che cosa c’è nell’io?: eleganza o rozzezza, garbo o villania, leggiadria o goffaggine?
Penso di si. Certamente non bisogna guardare il volto con l’intelletto che delinea solo le fattezze esterne, talvolta coperte da maschere, nel tentativo di nascondere quanto vi è dentro nell’anima. Non parlo dei cosmetici che usa il femminile.
Parlo di certe sembianze che l’individuo, uomo o donna, è capace di inventarsi per nascondere l’anima meschina o addirittura infame e pericolosa.
Non dico che il volto si deve guardare con sospetto, ma con cautela si, perché, purtroppo, in una democrazia insulsa che stiamo vivendo, bisogna essere cauti. In genere, nel consueto, non bisogna guardare il volto conosciuto e stimato con l’intelletto che delinea le fattezze che, spesso per ritrosia o timidezza, nascondono i problemi dell’anima.
Il volto si guarda col sentimento e in silenzio, perché il volto, in definitiva, è insieme maestro che t’insegna tante cose che tu non sai, ma è anche mendicante che ti chiede, forse, soltanto un cenno d’occhi o una stretta di mano, perché le parole non servono per esprimere talora il tormento, la paura, l’ansia che cova dentro non tanto nell’anima, quanto in tutto il corpo.
Il volto non deve essere solo quello che comanda, ma insieme colui che domanda un colpo d’occhi dell’altro o dell’altra che eviti una tragedia.
Certamente, nel guardare il volto dell’altro, ci accorgiamo spesso che tra il nostro volto e quello dell’altro esiste un abisso. Sì, un abisso, perché noi andiamo in cerca del nostro volto in una forma di solipsismo, difendendoci con tutto ciò che abbiamo inventato.
Ci si nasconde col telefonino, nell’internet, nei segni illogici e freddi dell’informatica.
Da ricordare che nessuno potrà mai vedere il volto di Dio.
Del Suo volto esiste però una traccia nel volto di ogni persona che incontro, buona o cattiva che sia, e ciò determina un imperativo assoluto.
Il volto di Dio nell’altro, nell’altra da me. Comunque sia, bello o brutto, confortante o pauroso, è sempre immagine divina e, proprio per questo, non si potrà mai capire del tutto l’umano profilo del viso che incontro, anche fuggevolmente, per strada.
Max Picard (1888-1956) pensatore ebraico, definisce così il volto umano: «Avanti, tutto proteso in avanti sta il volto umano. Sullo sfondo però vi è l’eternità. Proprio questo rende il volto umano come un’icona il fatto che l’eternità sia il suo fondo.
Così, davanti all’immagine dell’altro da sé, l’uomo ritrova la sua interezza perduta, proprio perché nel volto l’immagine di Dio è più evidente, nella sua manifestazione nel tempo e nella eternità».
Il volto di Cristo, quando spezzò il sepolcro, non è solo festa di una giornata, è memoria di ogni istante, perché in ogni istante c’è sempre l’altro o l’altra che mi si presenta da vicino o sfuggevolmente da distante e mi interroga, col volto che guardo, ascolto, intuisco, volto che comanda o domanda e, forse imperiosamente, mi richiama ai miei obblighi ed insieme mi giudica, perché in realtà è imperiosa presenza del Cristo risorto che mi cita costantemente in giudizio.
Mons. Giovanni Battista Chiaradia