La parola imperante in questi mesi è «crisi». Nel definirla si parla di soldi che valgono meno, banche che temono, lavoro che languisce. Poiché la crisi interroga tutto il mondo, è sorta una cooperazione internazionale per una svolta urgente.
Nuove regole per i mercati internazionali, fine dei paradisi fiscali, specialmente dei compensi da capogiro per privilegiati di cui la stampa di questi giorni, per l’Italia, ha rivelato nome e cognome.
Si parla di una serie di principi che dovranno portare, in tempi stretti, a misure che definiscono la nuova architettura del sistema finanziario internazionale. L’auspicio è che tutta questa serie di provvedimenti abbia effettivamente presa forte per salvaguardare il quotidiano di miliardi di persone.
Oltre a questo programma, che speriamo vada a buon fine, penso, ultimo tra gli ultimi, che prima bisogna trasformare la faccia della persona in volto. Facce sono tante, volti pochi: i volti con la barba bianca od anche solo brizzolata sono stati capaci di portare ad un certo decoro, dopo la catastrofe, la rinascita ricordata il 25 aprile.
Oggi, tra facce e volti, bisogna fare una statistica che non oso esprimere. Mi è difficile, anzi impossibile, conoscere quante facce di nuove generazione ho attorno e quanti volti.
Certamente non vorrei che fossero tante le facce che incontro, molto spesso, specialmente all’imbrunire: facce di adolescenti intenti a bere e fumare non so che cosa, seduti sui gradini della scala che porta alla chiesa, ai quali domando, con la proprietà insegnata dai miei genitori più che dai seminari, se posso passare e mi rispondono con ironia, guardandomi in viso con faccia di sarcasmo.
E sto zitto, perché, se esci con una parola di troppo o con un gesto improprio che può sfuggire, il giorno dopo ti trovi in Questura a rendere conto del tuo operato perché padre e madre denunciano la terribile offesa alla faccia del rampollo.
Sorridete? Ma si!
Nella crisi attuale bisogna parlare della persona in quanto tale. Specialmente di quella della gioventù.
C’è bisogno urgente di volti, non di facce, Volti che esprimono bellezza non deturpata da ciò che ci circonda, che ti meravigliano quando parlano, quando ti raccontano, ti domandano e ti mettono in crisi per le domande che ti rivolgono in cui avverti una fine sapienza che parte sì dalla scuola, ma specialmente dalla casa, dalla parola, dalla gestualità del padre, dal modo di vestire della madre, dal racconto dei nonni: da quell’abito mentale con cui non si esce di casa senza un segno di Croce che indica, oltre l’aspetto del divino, la memoria del sacrificio, la costanza del dovere.
Non puoi essere tra coloro che oggi tentano di vincere solo la crisi economica, ma tra quelli che paventano di perdere la dignità e il decoro.
Il Papa, nel quarto anniversario della morte di Giovanni Paolo II°, ha ricordato quanto stava a cuore al suo predecessore la responsabilità educativa della gioventù, aggiungendo: «Anch’io come sapete, ho voluto riprendere questa Sua ansia, soffermandomi, in diverse occasioni, a parlare dell’urgenza educativa che concerne oggi le Famiglie».
Nell’età della crescita, i ragazzi hanno bisogno di adulti capaci di proporre loro principi e valori che oggi vengono meno.
Più o meno questi concetti sono apparsi nella storia 400 anni prima di Cristo con Aristotele, discepolo di Platone: «Se la persona con la sua stirpe è buona, nascono in lei uomini egregi e poi, a poco a poco, cominciano a degenerare, perché quelli di ingegno vivace diventano pazzi di costruire e coloro che sono di ingegno povero passano nella stupidità e nella dappocaggine».
Mons. Giovanni Battista Chiaradia