Gesù dopo una giornata di intenso lavoro, sale su una barca e dice agli apostoli di passare all’altra riva. Gesù sfinito dalla stanchezza si addormenta a poppa. Il lago di Galilea è un piccolo lago, ma è famoso per le burrasche improvvise, che vi si scatenano a causa della particolare configurazione geografica delle montagne all’intorno.
Ed ecco si leva improvvisa una grande tempesta, che getta acqua dentro la barca, tanto che ormai è piena e sta per affogare.
Subito gli apostoli preoccupatissimi si rivolgono a Gesù che dorme per la stanchezza, ma con quale reazione? «Maestro, non ti importa che noi moriamo?». “Reazione istintiva” di coloro che, pur chiamandolo Maestro, mettono in dubbio che Egli si interessi di loro. E creano ingiustamente una distanza che scava un abisso tra Lui e loro e cadono nell’abisso della “indifferenza”. Non capita pure a noi di mettere in dubbio questa capacità di Gesù di prendersi cura delle nostre persone in difficoltà e di dubitare del suo Amore premuroso, che ci ha amato per primo sin dall’Eternità, ci ama personalmente, gratuitamente, con stima, accettandoci come siamo, anche nel diverso, con delicatezza, rispetto, attenzione ecc. ecc. (leggere il Vangelo come conferma). Gesù però capisce la nostra tapineria e rimane fedele sempre al suo Amore.
Lo sa che siamo imbevuti di deplorevoli contraddizioni lasciandoci deviare da funzionamenti egoistici, di pigrizia, consumistici, tecnologici, scientifici, massmediali, che non ci mediano la vera figura di Gesù, e ne anche la figura dell’uomo, anzi ce la offuscano nella sua autentica rivelazione tanto da offenderlo dicendo: «Non ti importa che noi moriamo?». Gesù, invece, è il Buon Pastore (Giov. 10 ess.) che affronta il lupo per difendere il suo gregge. Nel momento che vengono per arrestarlo nell’orto degli ulivi la sua preoccupazione unica fu per i suoi discepoli. Se è me che cercate, lasciate che questi se ne vadano (Giov. 18,8).
Gesù reagisce subito circa la tempesta in termini personali: sgridò il vento: «Taci! e alle acque agitate: calmatevi! » E vi fu gran bonaccia!
Poi fa riflettere i discepoli: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?» Un commentatore di Marco a questo punto annota: «Credere significa contare su Dio e sulla sua potenza, anche quando si è nel gorgo del mare; significa ancor più precisamente aspettare di incontrarLo ancora e sempre in Gesù! Avere Gesù con noi! Avere fiducia in Lui! È questa la garanzia migliore contro la tempesta della vita!».
E per questo “PREGARE” al mattino, alla sera, recitare il Santo Rosario ogni giorno, leggere la Bibbia, chiedendo allo Spirito Santo di illuminarci con “l’intelligenza sapienziale”, fare adorazione eucaristica silenziosa recuperando tanto tempo, che sprechiamo in cose inutili, osservare tutti i comandamenti, frequentare e vivere i sette sacramenti che la Chiesa ci offre per avere una fede incondizzionata in Dio!
Il tempo dato a Dio è mai tempo perso! «Nulla ti turbi, nulla ti spaventi, Dio non muta – “DIO È AMORE”. Non si smentisce mai. Chi possiede Dio non manca di nulla. Solo Dio basta». (S. Teresa d’Avila). La fede incondizionata è un dono che riceviamo nel Battesimo da parte del nostro Dio e va sin da bambini sviluppata e maturata con la responsabilità dei genitori dando buon esempio frequentando impegni della Chiesa e pregando insieme a casa. Ognuno di noi dovrebbe chiedersi: «quanto tempo ho dato e dono nella mia vita alla preghiera per ottenere la vera fede e maturarla secondo le esigenze dell’Amore di Dio?»
P. Lorenzo Giordano sj