Nel nuovo Testamento, in particolare negli scritti di Giovanni, spesso e in modo molto incisivo si collega Gesù alla luce. «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Giovanni 1,9). «Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Matteo 17,2).
Di conseguenza, in rapporto di fede con Cristo, ci si deve giocare necessariamente nella dinamica delle luce e delle tenebre con l’obbligo di divenire ed essere figli della luce, come afferma Giovanni «Chi fa il male odia la luce e ne sta lontano perché la luce non faccia conoscere le sue opere a tutti. Invece chi ubbidisce alla verità viene verso la luce, perché la luce faccia vedere a tutti che le sue opere sono compiute con l'aiuto di Dio» (Giovani 3, 20-21) .
E San Paolo insiste: «Se un tempo eravate tenebre, ora siete luce del Signore, comportatevi perciò come figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre.Ma piuttosto condannatele apertamente... Per questo sta scritto: "Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà"» (Lettera agli Efesini 5, 8-14).
Essere figli della luce… Questo invito-comando mi ha sempre colpito.
Si può essere luce che illumina e discioglie le tenebre del pensiero e degli affetti, della ragione e del cuore; si può essere luce calda e ovattata che concilia il riposo e la riflessione pacata e interiore; si può essere luce che esalta e inorgoglisce perché evidenzia in modo forte e solenne; si può essere faro violento e indagatore che ti acceca e ti forza a confessare per non essere bruciato dalla luce stessa…
Personalmente amo pensare alla luce che incontro (chissà quante volte sarà capitato anche a chi sta leggendo queste righe) entrando, nel tardo crepuscolo, in una chiesa che mi è cara: nel semibuio dell’ambiente mi attira la lieve ma agile luce di una candela o di una lampada votiva che si consuma vicino al tabernacolo o davanti ad una icona.
Sembra poca cosa, ma ti attira, ti invita, ti riempie gli occhi e il cuore.
Sono sempre più convinto che è una bellissima maniera di essere figli della luce.
Una maniera che seduce lasciando liberi, attira ma discretamente, riscalda ma a misura di cuore e di vita quotidiana, con la sua ricchezza, il suo spessore normalmente nascosto e non considerato.
Quando penso a figli della luce così, mi viene alla mente una storiella curiosa che ho letto in un libro stimolante, scritto con brillante narratività da un amico.
Fa pensare alla grandezza e alla fragilità di un figlio della luce di questa specie.
C'era una volta un re molto triste che aveva un servo molto felice che circolava sempre con un grande sorriso sul volto.
«Paggio», gli chiese un giorno il re, «qual è il segreto della tua allegria?».
«Non ho nessun segreto. Signore, non ho motivo di essere triste. Sono felice di servirvi.
Con mia moglie e i miei figli vivo nella casa che ci è stata assegnata dalla corte.
Ho cibo e vestiti e qualche moneta di mancia ogni tanto».
Il re chiamò il più saggio dei suoi consiglieri: «Voglio il segreto della felicità del paggio!».
«Non puoi capire il segreto della sua felicità. Ma se vuoi, puoi sottrargliela».
«Come?». «Facendo entrare il tuo paggio nel giro del novantanove».
«Che cosa significa?». «Fa' quello che ti dico...».
Seguendo le indicazioni del consigliere, il re preparò una borsa che conteneva novantanove monete d'oro e la fece dare al paggio con un messaggio che diceva: «Questo tesoro è tuo.
Goditelo e non dire a nessuno come lo hai trovato».
Il paggio non aveva mai visto tanto denaro e pieno di eccitazione cominciò a contarle: dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta... novantanove!
Deluso, indugiò con lo sguardo sopra il tavolo, alla ricerca della moneta mancante.
«Sono stato derubato!» gridò. «Sono stato derubato! Maledetti!».
Cercò di nuovo sopra il tavolo, per terra, nella borsa, tra i vestiti, nelle tasche, sotto i mobili...
Ma non trovò quello che cercava. Sopra il tavolo, quasi a prendersi gioco di lui, un mucchietto di monete splendenti gli ricordava che aveva novantanove monete d'oro. Soltanto novantanove.
«Novantanove monete. Sono tanti soldi», pensò. «Ma mi manca una moneta.
Novantanove non è un numero completo» pensava. «Cento è un numero completo, novantanove no».
La faccia del paggio non era più la stessa. Aveva la fonte corrugata e i lineamenti irrigiditi.
Stringeva gli occhi e la bocca gli si contraeva in una orribile smorfia, mostrando i denti.
Calcolò quanto tempo avrebbe dovuto lavorare per guadagnare la centesima moneta, avrebbe fatto lavorare sua moglie e i suoi figli. Dieci dodici anni, ma ce l'avrebbe fatta!
Il paggio era entrato nel giro del novantanove... Non passò molto tempo che il re lo licenziò.
Non era piacevole avere un paggio sempre di cattivo umore.
(Bruno Ferrero, Ma noi abbiamo le ali)
Con la speranza di non cascare mai nel “club del novantanove” ritorno alla fiammella del mio cero votivo e medito con Trilussa:
Davanti ar Crocefisso d'una Chiesa
una candela accesa
se strugge da l'amore e da la fede,
je dà tutta la luce
tutto quanto er calore che possiede,
senza abbadà se er foco
la logra e la riduce a poco a poco.
Chi non arde non vive.
Come è bella la fiamma
d'un amore che consuma,
purché la fede resti sempre quella!
Io guardo e penso:
“Trema la fiammella
la cera cola e lo stoppino fuma.”
Don Gigi Di Libero sdb