SOLENNITÁ DI TUTTI I SANTI E COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI
Penso a queste due giornate insieme.
Se le divido mi invade un «pathos», una commozione come per una commedia che si annuncia brillante, ma che dopo smorza il sorriso perché gli attori non sono stati capaci di interpretarla con passione.
Se metto insieme i due giorni, il primo illumina il secondo.
Se tutti nel momento della morte diventassimo Santi per un atto intenso di fede e di amore a Dio che si accontenta di questo moto dell’anima e ci introduce tutti nel Suo regno?
Non devo pretenderlo dal Signore e pensare invece ad un cammino saggio e limpido per essere pronto all’incontro col «giusto giudice».
Non posso certamente dimenticare le immagini della mietitura, del vaglio, della separazione.
Ne cito una: «Lasciate che l’uno e l’altra crescano insieme fino alla mietitura; al momento della mietitura dirò ai mietitori: “Cogliete prima la zizzania, legatela in fastelli per bruciarla, il grano invece ponetelo nel granaio”» (Mt. 13.30 ss).
Ascoltiamo anche uno dei passi più suggestivi della Bibbia nella penna del profeta Isaia, poeta, letterato, filosofo, maestro al massimo grado, vissuto otto secoli prima di Cristo, quando non c’era né penna né calamaio e, per scrivere, bisognava incidere la pietra. Ma la sua parola è rimasta nell’onda del tempo, tra nonni e nipoti, incisa nell’anima della gente.
«Io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato: i lembi del suo manto riempivano il tempio. Attorno a Lui stavano i serafini e proclamavano: “Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria”» (Ecco dove la liturgia cristiana ha preso l’inizio del momento Eucaristico nella Messa).
È qui, nella Bibbia ebraica dell’Antico Testamento, che santità e onnipotenza di Dio si illuminano reciprocamente.
La santità, nel Nuovo Testamento, discende in Maria che ne è consapevole.
Difatti esclama di fronte alla cugina Elisabetta: «Grandi cose ha fatto di me l’Onnipotente e Santo è il suo nome, di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono» (Luca, 1,49).
È Paolo che si accorge che i primi discepoli, che Lui stesso ha evangelizzati, sono «amati da Dio e santi per vocazione» (Rom. 1,7).
Finché si arriva alla meta che Giovanni vede sfolgorante: «Io, Giovanni, vidi una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni lingua, nazione e popolo».
Nella sua visione profetica, Giovanni dirà come sarà la persona degli eletti: «Saremo simili a Lui perché lo vedremo come Egli è» (Giov. 3,2)
In questa «moltitudine» della visione profetica di Giovanni noi pensiamo alla giornata dedicata ai defunti.
Pensiamo ad una salvezza universale consona alla dimensione di Dio, che è perdono e pietà. Giobbe, nella prima lettura di questa giornata, aveva esclamato sicuro: «Io lo so che il mio Redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà dalla polvere; dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò il mio Dio. Io lo vedrò, io stesso e i miei occhi lo contempleranno non da straniero» (1,23 ss).
Paolo nella lettera ai Romani è ancora più ottimista: «La speranza non delude perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori» (5,5 ss).
In questa atmosfera di salvezza, di bontà infinita di Dio penso che non ci sia posto, nella nostra anima, per l’inferno.
Certamente ci sarà una purificazione del male commesso in vita che il Signore giustamente imporrà a coloro che hanno infranto la legge della persona e della comunità.
Qual è il modo migliore per aiutare i nostri morti se in vita non sono stati leali col Creatore non osservando la legge, talvolta in modo tanto grave?
La preghiera, si, ma insieme percorre la via delle Beatitudini ed osservarle in modo tale da sentirci finalmente «Beati», cioè contenti per noi e per donare ai defunti, tutti, non solo ai nostri di famiglia, ma anche a coloro che abbiamo conosciuto solo da distanza negli spazi della miseria e della guerra, un posto al sole del Signore…
Vorrei proporre una commemorazione dei Defunti come proposito di donare la nostra vita, rinnovata nell’osservanza più sentita del Discorso della Montagna, per quei defunti, tanti nel mondo attuale, che non hanno mai avuto una persona che li pensi e tanto meno una preghiera e che anche in vita non hanno mai incontrato una mano e un cuore che abbia cercato di salvarli. (Mons. Giovanni Battista Chiaradia)