Il sig. A.F. mi internetta: “Da qualche tempo la Chiesa italiana organizza incontri di vario genere sulle comunicazioni sociali, su internet, ecc.; ma non vedo mai il Suo nome, che pure è stato un pioniere e continua a lavorare. C’è un motivo?”
Rispondo volentieri. Ma so dire poco circa quel “motivo”. Forse ai nuovi arrivati dà fastidio chi ha più esperienza e competenza di loro, soprattutto se costui dice quel che pensa, magari anche senza riguardi. P.e. al Convegno “Il cantiere del progetto Culturale CEI” (15-17 febbr. 2001), avendo io notato che gli Ecc.mi portavano argomenti prossimi alla Redemptoris Missio pur senza citarla, feci la seguente domanda, che mi sembrava ovvia e corretta: “A questo punto, atteso anche l’accenno deciso del Papa all’internet , vorrei chiedere perché nel Progetto Culturale non si cita nemmeno in nota la Redemptoris Missio.“ Dall’espressione di qualche volto, ho capito che la domanda non era gradita e naturalmente la domanda è rimasta senza risposta. Forse ciò spiega qualcosa.
Comunque, ho l’impressione che ci sia una specie di parola d’ordine, non so di chi: il sottoscritto e la sua opera non sono mai esititi.
Ma questo è un problema che, almeno qui, non interessa, anche se è tale da stuzzicare la curiosità.
Vengo al resto: l’interesse della Chiesa per le comunicazioni sociali. E’ antico, fino dai primordi della radio e del cinema, e rimando ai due volumi di P. Baragli.
Non possiamo dimentichiamo Pio XII con la “Vigilanti Cura” e con in due magnifici “Discorso del film ideale” (fine anni 50), poi l’”Inter Mirifica” (1963) del Concilio Vaticano secondo; l’Ufficio Nazionale con le schede cinematografiche di tutti i film che uscivano in Italia e l’organizzazione delle Sale parrocchiali di cinema, con annessi e connessi.
Per la verità, gli uomini addetti a questi settori hanno brillato sempre per zelo pastorale e anche per spirito organizzativo; ma non per una loro specifica preparazione, diciamo pure, circa la natura dei nuovi linguaggi di base e connessi problemi morali e pastorali. Tanto è vero che i cosiddetti “cattolici” hanno preso anche qualche cantonata nella loro attività e, tra l’altro, hanno ritardando anche una idonea azione pastorale nel settore.
Giovanni XXIII introdusse la parola “cultura”, concetto finallora guardato con sospetto. E un po’ alla volta, pur con molte ostilità per quanto riguardava il cinema, il concetto fece strada. Si pensi alle iniziative di cultura cinematografica: i Cineforum, i Circoli Giovanili salesiani, ecc..
Io, nel mio piccolo, diedi inizio all’iniziativa delle “Cineletture”, che più che un’organizzazione era una metodologia: quella della “lettura strutturale” (chi mai ne parla?). Derisa, ripiudata e, dicono, “superata”, invece e vegeta bene (dove c’è) ancora oggi, in Italia e all’estero, mentre altre iniziative si sono esaurite o si stanno, di fatto, esaurendo.
Non solo; bensì per la mia esperienza cinquantennale, posso dire che, almeno oggi, la metodologia della “lettura strutturale” forse può essere l’unica possibile base della ripresa. E quindi è stata precorritrice, altro che esaurita…
Giovanni Paolo II, con l’art. 37 della Redemptoris Missio, ha introdotto praticamente un nuovo corso: non più solo “cultura”, bensì “scienza” dei “nuovi modi di comunicare”. Quindi: non solo conoscenza delle tecnologie (pur basilari), bensì conoscenza dei linguaggi e del modo di utilizzarli come “espressione” e non solo come mezzi tecnici. Il che richiede formazione e competenza, termini che noi esercitiamo e predichiamo da 50 anni e che da decenni vengono (per quanto possibile) emarginati e inascoltati nel senso che noi intendiamo.
Eppure il Papa ha dato quell’indirizzo nuovo ormai da 10 anni compiuti.
C’è una speranza. E’ stato nominato presidente della Commissione Episcopale per le Comunicazioni Sociali mons. Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari, che conosce bene e correttamente il problema di base, perché lo ha studiato seriamente e praticato da anni.
Al Convegno “Bibbia e Cinema” dell’Ufficio Nazionale in collaborazione con l’Ateneo Salesiano (febbraio us) è stato chiamato a tenere la prolusione. Vorrei dirla magistrale. I relatori che hanno parlato dopo (alcuni molto ben preparati) hanno esposto interrogativi ai quali dicevano di non saper rispondere, ma non si accorgevano che Mons. Cacucci, con la metodologia seguita, aveva già dato la risposta proprio a quei problemi.
Ma nel Convegno Cei-Università Lateranense, tenutosi nelle scorse settimane a Roma, “Annunciare il Vangelo nella cultura dei media” , Mons. Cacucci è stato chiamato a trarre le “Conclusioni prospettiche”. Tra l’altro, egli ha affermato: “Non scordiamoci che parliamo di mezzi e che i mezzi richiedono anzitutto conoscenza e competenza. Parlarne in astratto non ha senso. Le teologia solo ora sta muovendo i primi passi per confrontarsi con la cultura dei media. Per ora parla un’altra lingua, ma può imparare in fretta.”
Di preparazione s’è parlato spesso, ma generalmente ci si è fermati ai fattori tecnici dei nuovi mezzi di comunicazione, non sfiorando nemmeno quelle “nuove tecniche” di fare comunicazione con essi e relativi “nuovi atteggiamenti psicologici (come dice il Papa). Mons. Cacucci sa bene come deve essere la ”formazione” per arrivare ad avere “la conoscenza e la competenza” necessarie.
Quindi speriamo.