«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio», dice
Matteo, 22,1-14
Ognuno di noi nella vita ha avuto una o più occasioni di un invito cui dover dare una risposta di adesione o di rifiuto, a volte facile, a volte terribilmente toccante e pertanto impegnativo.
In questo caso ci mette in difficoltà interiore, ed anche sociale perché tocca le relazioni con persone e gruppi, con cui abbiamo legami o contrasti per nulla indifferenti.
Se ci si sente spinti a dire di sì all’invito è necessario prendere una serie di decisioni che vanno dal liberarsi per avere il tempo necessario a partecipare alle festa cui siamo invitati, al pensare e spendere il necessario per vestirsi il meglio possibile per fare bella figura e per onorare con affetto e simpatia chi ci invita alla sua gioia; dalle spese per un regalo doveroso e spesso veramente gradito come segno di affetto o di gratitudine, a tutte le circostanze da giostrare perché ci si possa dire all’altezza dell’invito ricevuto.
Se ci si trova nella fastidiosa circostanza di non gradire per nulla l’invito, anche se viene da persona difficile da trattare, o addirittura contrariati e offesi dall’invito, fatto male e fuori dalle regole o con modi e in situazioni del tutto offensive o, per lo meno, pesanti e eccessivamente obbliganti, si deve decidere qualcosa che ci turba e ci ferisce.
Ci si trova in difficoltà perché feriti negli affetti e soprattutto nelle relazioni interpersonali o in quelle sociali che sono sempre necessarie per vivere in pace e sentirci vivi, rispettati e valorizzati.
Sono convinto che Gesù con questa parabola sorprende soprattutto noi, gente comune che vive oggi in una società così piena di impegni, di programmi e incontri stabiliti per interesse o per gestire meglio professione, vita e attività sociali e famigliari.
Vita domestica; ufficio; incontri di lavoro; chiacchiere, non sempre intelligenti ma doverose per sopravvivere nel sociale; spese nei supermercati, autentiche piste di balletti stressanti in cui non ci si ferma mai; relazioni con i figli e i famigliari; momenti di distensione che si rivelano frenetici e urlati… insomma uno stress sistematico e progressivo!
A tipi come noi, Gesù dice che Dio non è tanto quell’essere perfettissimo, infinito e irraggiungibile.
Dio è un re che invita, tutti e con gioia, alle nozze di suo Figlio: ha preparato un banchetto eccezionale e la sua “volontà” è che anche ciascuno di noi sia invitato e accetti liberamente di partecipare alla sua gioia.
È stupendo, è incredibile: sconvolge totalmente le nostre piccole e limitate visioni che di solito assegniamo a Dio, alla fede e alla vita religiosa.
Chi non si aspetta in nessun modo di ricevere un invito, molto spesso si trova a vivere una vita che non entusiasma più.
Una vita vissuta nella routine del previsto e del prevedibile, che non apre a nessuna bella notizia o entusiasmante novità.
Ogni invito, soprattutto se ci sorprende, obbliga a sentirsi vivi e interpellati: pertanto si deve prendere la decisione di rispondere, si o no, ma di rispondere e sentirsi in questo più vivi e più sicuri di essere qualcuno e di valere ancora qualcosa, almeno per colui che ci invita!
“La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”
C’è una caratteristica di questo re che aumenta la sorpresa e sfida i criteri piccolo-borghesi con cui agiamo: questi sono dettati, per lo più, da una logica di consumismo, consolidato con pratica diuturna, o da una logica di egoistici interessi, più limitata ma coerente con la necessità di guadagno e di sistematica ricerca di fama e successo.
Il re, dopo aver invitato, come vuole il buon senso e la logica del successo, gli invitati illustri e tutti i dignitari che certamente darebbe splendore e onore alla festa del figlio, si accorge che ha fallito i suoi obiettivi: quelli che dovevano essere i primi e più degni invitati, si sono rivelati indifferenti, insensibili, oltre che indegni e indifferenti al suo invito, a lui come re e alla gioia del figlio che si sposa.
Loro hanno altri interessi, cose più importanti, e soprattutto si sentono molto al di sopra di quell’invito che solo creerebbe scompensi nella agenda di lavoro e di profitti e li obbligherebbe a cambiare molte, troppo, cose nella loro vita.
Il re non si scompone e non si dispera.
Il banchetto è pronto, la gioia è immensa e incontenibile.
Pertanto manda i suoi servi ai crocicchi delle strade ad invitare tutti quelli che incontrano.
È sufficiente che si rendano disponibili a gioire con lui, tanto da mettere le nozze del suo figlio al primo posto nella loro vita e quindi sono pronti ad accettare l’invito e a riempire la sala del banchetto.
Questa sala strapiena di gente che accetta di gioire con lui per le nozze del figlio lo riempie di gioia.
In quella sala ci possiamo essere anche noi, gente qualunque e che non sperava di essere ancora degna di un invito, e di un invito prezioso e straordinario come quello.
Non è incredibile?
Non sconvolge la vita?
Non obbliga a cambiare cose importanti nel tran tran quotidiano, ormai privo di futuro e di grandi speranze?
Questo è lo stile del nostro Dio.
A noi la decisione sul nostro stile: come rispondere all’invito.
“Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì.
Infine, questo re straordinario non è un facilone che lascia passare tutto e tutti senza la capacità, messa in atto con fermezza, di valutare le disposizioni vere e profonde di quanti accettano il suo invito ed entrano nella sala del banchetto di nozze.
Era tradizione del tempo che agli invitati venisse richiesta (spesso offerta) una veste opportuna e festosa, che li mettesse a loro agio nella sala del banchetto e che desse a tutti la possibilità di fare davvero onore all’invito accettato e alla grandezza del re e del figlio che si sposa.
In una parola: mettersi nelle reali condizioni interiori (il cuore) ed esteriori (le azioni) di chi si abbandona al grande Amore che il re ha dimostrato nell’invito offerto.
Il re, e il figlio, si aspettano che liberamente e con gioia accettiamo il loro invito, ma non in modo qualunquistico e sottilmente offensivo e disonorevole.
Si è liberi di accettare l’invito, non di non mostrarsi degni di aver accettato per amore e con onore quell’invito.
Il nostro “sì” esige la dinamica della completa dedizione e donazione di sé.
Come dire: o la fede cambia la nostra vita o non è vera fede e soprattutto non scaturisce e non genera la vera grande forza che muove la vita di ogni uomo: l’amore.
E il nostro Dio (il re che invita) è Amore. (don Gigi Di Libero, sdb)
Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.
In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».