Continuo il tema sulla preghiera: «la preghiera», intesa come domanda per sapere, per conoscere, e così superare curiosità e dubbio: segno di scienza e sapienza.
La preghiera, dunque, soltanto come incontro con Dio: vivere la fede, senza nulla chiedere, salire dalla logica del quotidiano ed entrare in relazione con Dio, sapendo che Dio ha abbandonato la sua solitudine e il suo nascondimento, ha rotto il suo silenzio ed ha rivelato all’umanità il suo nome e la sua volontà.
Lui dona alla creatura la libertà assoluta, per cui la fede vive in un mare di libertà dove ognuno di noi può nuotare, consapevole di trovarsi immerso in un mare di bene che è impossibile definire.
Forse le parole che rendono manifesto alla mente quel sito di Dio sono le prime che noi abbiamo imparato a catechismo, ma anche a scuola: le virtù teologali, cioè riguardanti Dio: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio.
La preghiera, quindi, non è solo riflessione sul mondo e le sue vicende, su se stesso, sugli altri, su quanto succede nel quotidiano, nella natura e nella storia, di cui avvertiamo il sublime o l’orrore; la preghiera non è ripiegamento su te stesso per le tue vicende e per le tue paure, ma è essenzialmente un confronto aperto, leale, sincero, vivo, sicuro, commosso con un Dio personale che ascolta e ti conosce nell’intimo.
Tu stesso gli dici chi sei, anche se Lui lo sa, ma vuol saperlo da te, vuole che tu stesso gli racconti che cosa avverti nell’aria che respiri, nella sofferenza che ti urla nelle ossa e nell’anima, nella tribolazione, che ti avvolge, di un prossimo che ti tratta male.
E ti affidi a Lui come un neonato si affida alla mamma, quando cala la tenebra e tacciono i rumori del giorno.
In quel momento, tu tratti Dio come Dio, non poni limiti alla sua potenza e alla sua libertà. Faccia Lui, se vuole ti tira fuori dal baratro della solitudine e dell’inganno, altrimenti ti ci fa restare, come ha lasciato il Figlio ad urlare sulla croce.
E va bene così.
E non ti senti solo: sai che dopo quel Venerdì c’è stato quel sabato interrogante, ma poi è scoppiata una domenica inimmaginabile, quanto folgorante, che si ripete in noi anche in vita, dopo l’insulto, la villania, l’affronto.
Bisogna vivere il mondo, la sua storia, la sua calma e bellezza, ma anche la sua cattiveria, avvolta nel perbenismo.
Stà calmo, arriverà il momento in cui dirà:
«Ma guarda un po’, è più vivo di prima!» (perché sei difeso dal Suo respiro onnipotente).
Lui che ha creato la lucciola riesce ad aprire un cratere di fuoco dove l’altro, gli altri hanno voluto un cimitero.
Avvolto in Lui stai bene.
Paolo ci dice: «Con molta fermezza ci presentiamo come ministri di Dio… impostori, eppure siamo veritieri, sconosciuti, eppure siamo notissimi, moribondi ed ecco viviamo, afflitti, ma sempre lieti». (2 Cor. 6,9).
Però ancora Paolo: «Chi dà, lo faccia con semplicità, chi presiede lo faccia con diligenza, chi fa opere di misericordia le compia con gioia». (Rom. 12,8)
Mons. Giovanni Battista Chiaradia