Nel tempo dopo Pasqua sentiamo ripetutamente parlare della resurrezione di Gesù Cristo. Gesù è morto ma è risorto, cioè non è rimasto preda della morte per sempre, ma la sua morte è stato il punto di passaggio da una vita terrena ad una seconda vita gloriosa e eterna presso il Padre e con il Padre. Questo evento è il fondamento della fede cristiana nella resurrezione della carne o liberazione dalla nostra soggezione alla morte e alla nostra condizione di uomini mortali.
Le opinioni sulla vita umana mortale e anche eterna o no, oggi sono molto diverse, soprattutto tra non credenti e credenti. Cominciamo dal fare un po’ di chiarezza. Tutti gli uomini credenti o no non solo muoiono di fatto, e muoiono inevitabilmente prima o poi. Anche Gesù è morto. Da questa morte, Gesù risorto non libera nessuno, come non è stato liberato neppure egli stesso. La vita eterna che ha avuto egli stesso e che ci offre non è una seconda vita; come dire che finita la prima ne comincia un’altra, che non ha alcun rapporto con la prima. Credenti o no, Gesù compreso, tutti gli uomini muoiono; risorgere da morte vuol dire morire ma non rimanere preda della morte per sempre, non finire per sempre nel niente. Ci sono invece quelli che dicono il contrario: dopo la morte non c’è più niente e con la morte finisce tutto. Già questo modo di parlare non è corretto. Chi dice che con la morte finisce tutto e tutto finisce nel niente, squalifica tutto ciò che un uomo può o ha potuto realizzare in questa vita per quanto sensato e valido sia. Giotto è morto, ma le sue opere restano; Michelangelo è morto, ma le sue opere restano. Si pensi ai grandi poeti, inventori, scopritori, in tutti i campi, a quanti hanno dato alti contributi al progresso umano; le loro opere non sono azzerate dalla morte di chi le ha realizzate, e non finiscono in niente, anzi restano in eredità ai posteri, e costituiscono il patrimonio culturale dell’umanità nella sua storia. Dire: con la morte tutto finisce e finisce in niente, è una frase troppo banale e liquidatoria, anche per molti non credenti. Svaluta tutto ciò che gli uomini hanno fatto, senza distinzione tra ciò che vale e ciò che non vale .
Muoiono però le persone, che hanno compiuto queste opere; moriamo noi come persone. Di ciascuno di noi non resta nulla? Finiamo nel niente? Questa è la questione che divide credenti e non credenti. Vediamo di capire che cosa ci divide. Provo a dire la questione con altre parole: la morte è la fine e il limite invalicabile dell’esistenza umana di una persona? o è una soglia che divide e insieme congiunge, apre l’accesso fin da ora, nel tempo della nostra vita mortale, alla vita eterna? Se rispondiamo che la morte è la fine definitiva e invalicabile della nostra esistenza personale, il nulla che alla fine ci attende e ci divorerà per intero, la morte diventa l’orizzonte ultimo della nostra vita quotidiana, che fin da ora oscura ogni momento della nostra vita; essa diventa fonte di timori, paure, angosce, rinunce a vivere e ad operare, perché rende vana e vuota l’intera nostra vita personale, destinata a finire nel niente. Qualunque cosa siamo o diventiamo, tutto finirà in niente. La morte, come orizzonte finale insuperabile del nostro vivere, rischia di sconvolgere, istante dopo istante, la nostra vita intera, fin da ora; diventa il muro contro cui andremo inesorabilmente a sbattere e a perdere tutto.
Ma se la morte fosse invece una soglia, che divide ma anche congiunge questa vita alla vita eterna ? L’orizzonte ultimo della nostra vita non è più la morte e il suo invincibile dominio sull’arco intero della nostra vita. La morte resta come fatto che accadrà. Ma la morte non è più il futuro ultimo che si avvicina inesorabilmente. Il futuro ultimo cessa di essere oscurato dalla morte, anzi si illumina di speranza; anche la morte può essere vinta. Nulla di ciò che fummo e siamo diventati e vogliamo essere potrà essere azzerato dalla morte. Il presente della nostra vita, il nostro presente è fin da ora libero da ogni destino oscuro. E la speranza della vittoria sulla morte, fin da ora ci rende sereni sul nostro avvenire, liberi da ogni turbamento e paura, e ci rende attivi, operosi, pieni di volontà di vivere in serenità ogni momento della nostra vita terrena.
Ho presentato le due risposte, quella del non credente e quella del credente. Il non credente afferma la sua scelta di assumere lucidamente e consapevolmente la convinzione che l’esistenza umana personale è destinalmente finita dalla insuperabile possibilità della morte che comincia con la nostra nascita, e decide di dedicare tutta la sua vita a ciò che può fare con la sua libertà, fino alla morte. Niente timori o angosce, ma accettazione della vita per quello che essa ci offre e da, senza illusioni o consolazioni fasulle.
E il credente? Il credente non ritiene che la fede nella propria resurrezione fondata nella resurrezione del Cristo sia una pia illusione o una consolazione fasulla.
La questione di fondo non è illudersi o non illudersi di fronte alla morte. La questione è: la morte è limite e orizzonte ultimo della vita umana o no, da affrontare per quel che è? o è solo una soglia che divide e congiunge vita terrena e vita eterna? L’orizzonte ultimo della vita umana mortale è la morte o la vittoria sulla morte e la vita eterna? Due interpretazioni della morte e due risposte contrarie; ne seguono due scelte, due stili di vita. Qual’è la vera? Quella che l’uomo sceglie affidandosi a sé stesso, facendo proprio l’orizzonte oscuro della morte, facendo leva esclusivamente sulle proprie risorse nel tempo della sua vita umana, finendo egli stesso nel nulla? o quella in cui l’uomo si apre a Dio e alla sua vittoria sulla morte, che nulla invalida di una vita umana e la congiunge fin da ora in speranza alla vita eterna?
La risposta vera non può limitarsi a discussioni intellettuali; deve anche pronunciarsi sulla validità delle scelte di vita che propongono. Qual’è l’orizzonte ultimo della vita umana? Aiuta o non aiuta a vivere serenamente? La proposta della fede non invalida nulla della vita umana, nessuno dei suoi valori propri. La proposta non credente salva le opere migliori di un uomo, ma non la vita di un uomo. Vivere umanamente vuol dire fedeltà e coerenza con se stessi e le proprie scelte autonome? o fedeltà ad una relazione interpersonale tra noi mortali e la persona del Cristo morto per liberarci dal dominio della morte e farci vivere liberi dal dominio incontrastato sulla nostra vita intera? Fede è credere a questa relazione amorosa scambievole con il Cristo risorto, che determina l’orizzonte ultimo del nostro vivere quotidiano e associa noi mortali a sé e alla sua vittoria sulla morte nel momento della comunione eucaristica, una comunione di vita con Dio che neppure la morte potrà vincere o rompere. Chiudersi in sé stessi o aprirsi all’Altro, all’uomo Cristo Gesù morto e risorto?
P. Giuseppe Pirola sj