Da parecchio è in gestazione la legge del testamento biologico, altrimenti definito come direttive anticipate e dichiarazioni di trattamento biologico.
Nel dicembre 2003 il Comitato bioetica nazionale ha dato la seguente definizione del trattamento biologico: “documento con il quale una persona, dotata di piena capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe o non desidererebbe essere sottoposta nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o dissenso informato”; gli ipotetici aspetti positivi del testamento biologico, cioè i motivi per i quali è stato proposto, sono rappresentati da una possibilità di proseguimento della partecipazione del malato alle decisioni terapeutiche che lo riguardano, una sorta di continuazione del processo di consenso informato o di negazione dello stesso rispetto alle cure. Tutto questo in un ottica di “protezione” dall’accanimento terapeutico (che quasi si suppone la medicina routinariamente proponga…). Si tratterebbe, quindi, di una declinazione ulteriore del “principio di autodeterminazione” del malato. (da Avvenire, giovedì 22 marzo 2007)
Giovedì 22 marzo 2007 su Avvenire, Ilaria Nava, nell’articolo “Sotto osservazione – Fine audizioni, poi si fa sul serio”, scrive: “Con un Convegno il 29 marzo termina la prima fase. Il confronto sul disegno di legge entra nel vivo. “Che la vera posta in gioco sul testamento biologico sia quella della legalizzazione dell’eutanasia non c’è alcun dubbio”. Francesco d’Agostino (presidente dell’Unione Giuristi Cattolici) ha pronunciato queste parole davanti alla Commissione Sanità del Senato quando, ormai diversi mesi fa è stato convocato per un audizione sugli otto progetti di legge sulle dichiarazioni anticipate di volontà o testamento biologico”
Un editoriale di Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici, apparso il 6 aprile 2007 su Avvenire, penso possa chiarire questa definizione: “È giusto che un cittadino adulto, capace di intendere e di volere, compiutamente informato, possa redigere, eventualmente con l’aiuto del suo medico di fiducia, dichiarazioni anticipate di trattamento, indicando in anticipo a quali trattamenti medici vorrebbe essere sottoposto e quali altri trattamenti vorrebbe invece rifiutare, nell’ipotesi di una perdita irreversibile di capacità, per traumi, malattie terminali invalidanti o senescenza estremamente avanzata?
È giusto o no che un cittadino possa esplicitamente rifiutare l’accanimento teraupetico e indicare in anticipo il nome di un fiduciario (coniuge, figlio, parente, medico curante, amico) abilitato a concordare con i medici la terapia ottimale a suo favore?
Certo che è giusto. Ad alcune condizioni però:
a) che la decisione di redigere o no di dichiarazioni anticipate sia e resti una libera scelta del cittadino, che mai e poi mai dovrebbe divenire destinatario di un dovere legale di redigerle;
b) che le dichiarazioni anticipate contengano richieste lecite e legali, quali quelle che un paziente capace di intendere e di volere potrebbe comunque legittimamente rivolgere al proprio medico curante (ad esempio la preferenza per una terapia farmacologica anziché chirurgica, per una decenza domiciliare anziché ospedaliera, ecc.) e mai richieste illegali (quali ad esempio l’eutanasia, il suicidio assistito o la commercializzazione post mortem di organi a fini di trapianto);
c) che il fiduciario sia abilitato a rivolgere al medico solo richieste lecite, ovviamente nel pieno rispetto delle dichiarazioni del paziente e nel suo migliore interesse; e
d) che il medico, destinatario delle dichiarazioni anticipate, pur avendo il dovere di tenerle in adeguata e seria considerazione, non venga mai dalla legge vincolato alla loro osservanza (esattamente come il medico di un paziente “competente” non può mai trasformarsi in un esecutore cieco e passivo delle richieste di questo).
Sulle posizioni che ho appena sintetizzato, trascurando utili dettagli, si è attestato, già da parecchi anni, il Comitato Nazionale per la Bioetica (Cnb) approvando all’unanimità il 18 dic. 2003 un documento intitolato appunto Dichiarazioni anticipate di trattamento: un documento importante, perché il consenso unanime da esso riscosso aveva alle spalle mesi di discussioni dure e serrate. Su di un solo punto il Cnb, in una successiva postilla al documento, si è espresso non all’unanimità, ma a maggioranza: sul fatto cioè che non è possibile far rientrare nel legittimo rifiuto che un paziente possa esprimere nei confronti di una terapia anche il rifiuto dell’alimentazione e della idratazione. Se per alcuni membri del Cnb alimentazione e idratazione sarebbero da assimilare a atti medici, il cui rifiuto – anche anticipato – da parte del soggetto interessato sarebbe lecito, per la maggioranza esse sarebbero invece da considerare forme premediche di sostentamento vitale, dotate di un altissimo valore etico e simbolico e la cui sospensione realizzerebbe di fatto una forma, particolarmente insidiosa, perché indiretta, di eutanasia.
A suo tempo il Cnb trasmise al parlamento il suo documento, che avrebbe meritato attenzione, se non altro per la funzione istituzionale posseduta dal Comitato stesso. Perché questo? Forse perché il testo del Comitato era esplicito e inequivocabile nel tenere a distanza incolmabile la logica del testamento biologico e quella dell’eutanasia? In molti dei disegni di legge attualmente in discussione presso la commissione Sanità del Senato una simile distanza incolmabile non è infatti percepibile. Non credo che sia un caso se nell’importante convegno sul testamento biologico promosso dallo stesso Senatore Marino pochi giorni fa al Senato non solo non si è assunto il documento del Cnb come punto di partenza per la discussione, ma non gli è stata data alcuna particolare evidenza.
E’ quanto basta per giustifcare le apprensioni non solo del Segretario della Cei mons. Betori, ma soprattutto di tutti quei medici e di tutti quei cittadini che percepiscono come un dibattito mascherato, finalizzato a legalizzare l’eutanasia, quello che da settimane di svolge in Parlamento sul testamento biologico.”
“Il Senato è rimasto in pausa di riflessione la legge del testamento biologico non è una priorità” (Avvenire, 14.06.07)
Giovedì 21 giugno 2007 su Avvenire in un box si legge “I martedì della Commissione: ora al Senato i disegni di legge sono 10.
Le dichiarazioni anticipate di trattamento sono state al centro dei lavori della Commissione Sanità di Palazzo Madana di martedì, giorno che il gruppo di lavoro guidato da Ignazio Marino (Ds) ha deciso di dedicare a questo tema. Con la fine delle audizioni due Senatori hanno presentato altrettanti disegni di legge, che vanno ad aggiungersi agli otto già all’attenzione della Commissione da ormai quasi un anno. Si tratta di Gianpaolo Silvestri (Verdi) ed Erminia Emprin Gilardini (Rc), il cui ddl è stato firmato da 15 Senatori di diversi partiti della maggioranza, tra cui lo stesso Silvestri. Per tale motivo nella seduta di questa settimana la senatrice Laura Bianconi (Fi) ha chiesto, a nome del suo gruppo, un rinvio dell’apertura del dibattito per consentire alla relatrice Fiorenza Bassoli (Ds) di riferie anche sui due nuovi testi. La bocciatura della proposta, messa ai voti e respinta, ha determinato l’apertura del dibattito, che ha visto gli interventi di Daniele Bosone (Autonomie), Paolo Bodini (Ulivo) e Nuccio Novene (Sinistra democratica). (I.lariaN.ava)”.
In Avvenire 21.6.07, si legge nella rubrica “punti fermi” di Michele Aramini “Quale libertà, se la scelta è degli altri? Il testamento biologico viene spacciato come mezzo di autonomia del paziente rispetto a una volontà divina insensibile al dolore. Quanta confusione…
Il tema del testamento biologico continua a essere discusso sia in Parlamento sia nella società e, in particolare, tra i medici. Il tema ovviamente interessa da vicino la classe medica, che sarà chiamata a comprendere ed attuare questo eventuale nuovo strumento giuridico. In particolare, l’Ordine dei Medici di Milano ha organizzato sabato 16 giugno 07 un convegno al quale hanno contribuito importanti relatori. Dal Convegno sono emersi gli elementi più importanti della questione del testamento biologico.
• In primo luogo, è apparso con chiarezza che il testamento biologico può dare un contributo nella direzione di prolungare il dialogo medico-paziente, quando il paziente non fosse più in grado di esprimersi. Si tratta di un elemento positivo, già affermato dalla Convenzione di Oviedo nel 1997, che non deve però essere sopravalutato. La spessa convenzione all’art. 9 precisa che le dichiarazioni anticipate debbono mantenere il valore di orientamenti e non di prescrizioni. E’ noto invece che i sostenitori italiani del testamento biologico premono perché le direttive del paziente abbiano valore vincolante per i medici. In tal modo si svilisce la relazione di alleanza tarapeutica e si apre la via per forme più o meno esplicite di eutanasia. Dato che le cose non si debbono discutere solo su un piano teorico, ma debbono essere considerate nel contesto concreto in cui si propongono, la prima conclusione che possiamo ricavare è quella che il testamento biologico in linea teorica può essere uno strumento di qualche utilità, ma va respinto con la massima determinazione il tentativo di alcuni di farlo diventare via silenziosa per l’eutanasia.
• Il secondo elemento su cui desidero soffermarmi è quello del testamento biologico come strumento di incremento della libertà personale. Anche in questo caso, le discussioni hanno evidenziato che non è facile per la persona comune decidere quale potrebbe essere il suo bene in determinate circostanze. A riprova di quanto detto, ricordo che diversi progetti di legge prevedono l’obbligo di una consulenza medica per la redazione del testamento biologico. E’ come dire: sei incapace di scegliere da solo. Ma allora come fa il testamento a essere strumento di libertà se è un altro a guidarti nel capire i problemi, e con tutta probabilità nel suggerirti le scelte?
• Un terzo elemento che mi pare importante ricordare è la questione della volontà di Dio per i credenti. Mi pare che la questione sia stata affrontata adeguatamente nella Dichiarazione sull’Eutanasia del 1980. In questo documento si afferma che nella valutazione dell’appropriatezza delle terapie occorre considerare il “giusto desiderio” dell’ammalato, quindi non esiste il dovere di vivere a tutti i costi. La volontà di Dio non può essere identificata in nessun modo con l’accanimento terapeutico, il quale è espressamente condannato dalla morale cattolica. E’ noto che la rinuncia alle terapie che prolungano artificialmente, in modo precario e doloroso, la vita è del tutto lecita. Ma ciò non significa avallare una concezione di completa autonomia, per cui sarebbe lecito lasciarsi morire rifiutando cure salvavita. Neppure si può accettare, che in via ordinaria si considerino l‘alimentazione e l’idratazione come cure sospendibili a richiesta. Esse si possono sospendere solo in quei rari casi in cui è richiesto dal bene del paziente.
• Occorre poi considerare che la volontà di Dio, come accade per la libertà di ciascuno, si definisce man mano nella relazione con le persone che Dio ci mette accanto, quindi anche con la sua Chiesa e le sue leggi. Il primato della coscienza non è la solitudine morale di un “io” che naviga nello spazio, ma espressione di una ricerca morale che ascolta la parola di un Dio che ti parla attraverso le persone e la realtà tutta.
Infine vorrei ribadire quanto è chiaro a tutti coloro che si occupano delle persone malate concrete, vale a dire il fatto che le persone nei momenti conclusivi della vitachiedono due sole cose: di non soffrire e di non essere abbandonate. Il testamento biologico come viene proposto dai più va invece nella direzione della separazione di responsabilità. Ciò significa che difronte alle scelte scritte del paziente, si può ritenere di non avere altro obbligo che quello richiesto. Se la medicina si incamminasse su questo sentiero difficilmente si potrebbe parlare di una sua umanizzazione.
Nella vita normale la persona malata sceglie di “affidarsi” (qui c’è una vera scelta di libertà) con la speranza che gli altri la prendano realmente in carico. Non deludiamo questa speranza.”
Non ci nascondiamo il difficile problema non solo in Italia ma di tante altre Nazioni tra cui l’America “Testamento biologico, il fallimento americano” (da Avvenire, Scenari, giovedì 14 giugno 2007).
Distinti saluti. A ben sentirci ancora su questo argomento.
P. Lorenzo Giordano sj