La sig.a G.G. mi internetta: «Ho letto l'intervista fatta a Baglioni sul QN del 15 agosto us. e mi sono sorti diversi interrogativi. Mi può spiegare anzitutto «cos'è il peccato relazionato alla vita d'oggi? E in particolare i peccati di cui si parla nell'articolo: avarizia, ozio, lussuria, superbia, orgoglio, ira (è un peccato?), invidia, individualismo (è un peccato?). Grazie!».
Rispondo, non senza qualche tremore: Lei non mi chiede una rispostina, bensí un intero trattato di teologia morale. e anche di sociologia e di psicologia.
Sono andato poi a leggermi quella pagina di QN, dalla quale Lei è partita.
Per rispondere, comunque, alla domanda della nostra G.G., conscio della difficoltà dell'impresa e ritenendomi tutt'altro che pronto per affrontare adeguatamente un problema cosí serio e complesso, conscio però anche d'aver affrontato parecchi anni di specifici studi di teologia e di teologia morale, mi appoggio al recente «Compendio» del catechismo della chiesa cattolica .
L'appoggio, dunque, è valido; è una buona base. Tutto sta, però, nel sapere, se quanto e come ti appoggi su quella base.
I numeri che riporto o cito, comunque, sono quelli degli articoli del Compendio stesso.
E che il buon Dio, con i suoi sempre fedelissimi angeli mi aiutino e mi assistano.
La sig.a G.G. dunque mi chiede anzitutto di spiegare «cos'è il peccato relazionato alla vita d'oggi.»
Dico subito che già qui non è facile rispondere, perché la domanda è piuttosto complessa e, cosí formulata, è tutt'altro che chiara.
La domanda è: «cos'è il peccato relazionato alla vita d'oggi? »
Rispondo: non mi consta che esista un peccato - o, meglio - un qualche tipo di peccato, che abbia una relazione «particolare» con la vita d'oggi. Posso però e devo dire subito che tutta la nostra vita è in relazione, e sempre, col mondo del peccato o, quanto meno, subisce le tentazioni del Maligno e della nostra stessa concupiscenza: «il vostro avversario, il diavolo, - ci insegna S. Pietro con la sua 1 ª Lettera (1,5,8) - come leone ruggente, ci gira attorno (ci circuisce), cercando chi poter divorare; resistetegli forti nella fede.»
Cominciamo, allora, col chiederci «Cos'è il peccato?»
Si può tranquillamente osservare che oggi, certamente non è rispettato in abbondanza il «Non avrai altro Dio fuori di me». Infatti, è purtroppo vero e constatabile che, oggi, il dio-denaro e, forse un po' meno, anche il dio-sesso, e non sempre rettamente interpretato, hanno preso il posto del nostro vero e unico Dio.
Una iattura questa; tristissima e drammatica, se non tragica, per la società in cui viviamo; ma è reale. E che il buon Dio spinga il suo occhio fino a noi.
E insomma: «Cos'è, oggi, il peccato?»
Risponde il Compendio al n° 392: «Da sempre e non solo da oggi, il peccato è "una parola, un atto (un'azione compiuta), o un desiderio contrari alla legge eterna" (S Agostino). È un'offesa a Dio, nella disobbedienza al suo amore. Essa ferisce la natura dell'uomo e attenta alla solidarietà umana. Cristo nella sua passione svela pienamente la gravità del peccato e lo vince nella sua misericordia.»
«393. La varietà dei peccati è grande. Essi possono essere distinti secondo il loro oggetto o secondo le virtú o i comandamenti ai quali si oppongono (quindi, il peccato è sempre un contravvenire a una qualche disposizione divina). Essi possono riguardare direttamente Dio, il prossimo o noi stessi. È possibile inoltre distinguere tra peccati di pensiero, o di parola, di azione e di omissione.» Sono tutti però sempre qualcosa di contrario alla legge divina, fatto però dall'uomo consciamente e deliberatamente.
«394. Quanto alla gravità, "si distingue in peccato mortale e veniale".»
«395. Si commette il peccato mortale quando ci sono nel contempo: a) materia grave ; b) piena consapevolezza (che si sta commettendo una grave violazione della Legge divina) e c) deliberato consenso (cioè piena coscienza, vale a dire: per libera decisione interiore, voler fare quanto s'è conosciuto essere grave violazione della Legge divina; nota, però: non significa specificamente voler offendere la maestà o la bontà di Dio, bensí solo decidere liberamente di compiere quell'azione, che si sa, con piena consapevolezza, esserne contraria).»
«. Si commette invece peccato veniale, il quale si differenzia sostanzialmente da quello mortale, quando si ha materia leggera, o anche grave, ma senza «piena consapevolezza» o «totale consenso». Esso non rompe l'alleanza con Dio, ma indebolisce la carità; manifesta un affetto disordinato per i beni creati; ostacola i progressi dell'anima nell'esercizio delle virtù e nella pratica del bene morale.
«396. Merita pene purificatorie temporali.»
«397. Il peccato trascina al peccato e la sua ripetizione genera il vizio .»
«398. I vizi , essendo il contrario delle virtù , sono abitudini perverse, che ottenebrano la coscienza e inclinano al male. Possono essere collegati ai sette peccati , cosiddetti capitali , che sono superbia, avarizia, ira, lussuria, golosità, pigrizia, accidia.»
Come si vede, l'« ira » figura nella lista dei sette peccati capitali , mentre non ve ne figura l'« indivualismo» . Su questi due, quindi, ritorneremo.
E ora: che cos'è la Virtù ?
Risponde il Compendio all'art.377: «La virtú è una disposizione abituale e ferma a fare il bene. "Il fine di una vita virtuosa consiste nel divenire simile a Dio (S. Gregorio di Nissa)."»
Vi sono virtú umane e virtú teologali.
«378. Le virtù umane sono perfezioni abituali e stabili dell'intelligenza e della volontà, che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e indirizzano la nostra condotta in conformità alla ragione e alla fede. Acquisite e rafforzate per mezzo di atti moralmente buoni e ripetuti, sono purificate ed elevate dalla grazia divina.»
«370. Le passioni sono «gli affetti, le emozioni o i moti della sensibilità - componenti naturali della psicologia umana - che spingono ad agire o a non agire in vista di ciò che è percepito come buono o come cattivo. Le principali «passioni» sono: l'amore e l'odio; il desiderio e il timore; la noia e la tristezza; la collera e la pace interiore. Passione precipua è l'amore, provocato dall'attrattiva del bene. Non si ama che il bene, vero o apparente.»
«371. Le passioni, in quanto moti della sensibilità, non sono né buone né cattive in se stesse: sono buone quando contribuiscono a un'azione buona; sono cattive in caso contrario. Possono essere assunte nelle virtú o pervertite nei vizi .
«379. Le principali virtú umane sono: quelle denominate cardinali , che raggruppano tutte le altre e costituiscono i cardini della vita virtuosa. Sono:
prudenza (dispone la ragione a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per attuarlo);
giustizia ( è la volontà sostante e ferma di dare agli altri quanto è loro dovuto );
fortezza ( è la fermezza nelle difficoltà e la costanza nella ricerca del bene, fino al sacrificio della propria vita per una giusta causa);
temperanza ( modera l'attrattiva dei piaceri, assicura il dominio degli istinti e rende capaci di equilibrio nell'uso dei beni creati ).
«384. Le virtù teologali : hanno come origine, motivo e oggetto immediato Dio stesso. Infuse nell'uomo con la grazia santificante, rendono l'uomo capace di vivere in relazione con la Trinità e animano l'agire morale del cristiano, vivificando le virtù umane.
Sono: la fede (per essa, noi crediamo in Dio e a tutto ciò che Egli ci ha rivelato e che la Chiesa ci propone di credere, perché Dio è la stessa Verità);
la speranza (è quella per la quale desideriamo e attendiamo la vita eterna, come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Geú Cristo e appoggiandoci sull'aiuto della Grazia;
La carità (è ciò per cui amiamo Dio sopra di tutto e il nostro prossimo come noi stessi); è il vincolo della perfezione; il fondamento delle altre virtú. È il comandamento nuovo di Cristo.»
«389. I doni dello Spirito Santo sono disposizioni permanenti che rendono l'uomo docile a seguire le disposizioni divine: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio.
«La tradizione della Chiesa ne enumera ben dodici: amore, gioia, pace, pazienza, longanimità, bontà, benevolenza, mitezza, fedeltà, modestia, continenza, castità .»
E ora due parole su «ira» e su «individualismo» .
L' « ira » è un impulso a reagire contro un essere o una cosa che fu occasione di qualche patimento o contrarietà (Mons. Monti in Dizionario di teologia morale , ed. Studium, Roma).
Si deve distinguere tra ira-passione, spinta a reagire dell'appetito sensitivo; e l' ira non passionale , cioè la tendenza della volontà ad infliggere un castigo.
L' ira-passione può essere o meno dipendente dalla volontà e quindi implicabile in un'azione morale; si può distinguere ulteriormente in «ira rossa» o espansiva nei forti e «ira bianca» o pallida nei deboli. Sotto il profilo morale vi può essere un desiderio ragionevole di infliggere un castigo e tale desiderio può essere accompagnato anche da una moderata passione di «ira» , che è lecito anche eccitare (v.p.e. l' ira di Gesú contro i venditori del Tempio).
Affinché l' «ira non passionale» , sia lecita è necessario che non miri a punire se non chi lo merita (cioè un essere ragionevole che ha agito con malavolontà, nella misura che lo merita, seguendo l'ordine voluto dalla giustizia e cercando solo di ristabilire l'ordine leso e di emendare il reo). Se manca una di queste condizioni l' ira può essere immoderata e non proporzionata all'oggetto e alle circostanze.
L' ira passione , fino a tanto che è indipendente dalla volontà, non è peccaminosa. Ma appena insorge un movimento passionale di ira , vi è l'obbligo di reprimerlo, se non è ordinato all'oggetto o di moderarlo se troppo impetuoso. Il non moderare tale moto, è di per sé peccato veniale; se tuttavia il moto costituisce un pericolo grave di peccare mortalmente, l'omissione, quando ci sia chiara consapevolezza del pericolo è colpa grave. L'acconsentire a una passione snodata di ira , sfogandosi con parole o fatti su chi non è colpevole, p.e., su animali o cose è un peccato almeno veniale; la colpa è grave quando vengono preferite parole molto ingiuriose o viene causato un male serio, come anche si incorra in grave pericolo di commettere tali eccessi.
L' « individualismo » è una dottrina del «liberalismo» che ha per principio fondamentale la libertà dell'individuo. Non è un organismo sociale con le sue molteplici varietà, interne, morali e vitali relazioni; ma è un automatismo, cioè un meccanismo che non persegue il bene comune come fine ma è piuttosto una somma di liberi individui che regolano i loro interessi per motivi egoistici. In ciò consiste la ragione del peccato. Infatti, l'egoismo consiste nel non pensare che a sé stesso e alla propria utilità e nel ricercare l'interesse e la soddisfazione propria senza il dovuto riguardo agli altri. È conseguenza necessaria dell'amor proprio, cioè un amore disordinato.
Quindi è peccaminoso, quando fa venire meno a un obbligo grave verso Dio o verso il prossimo e quando mette in grave pericolo di venir meno a tale obbligo. È un grandissimo ostacolo alla perfezione e rende l'uomo detestabile agli occhi altrui.
L'amor proprio, in sé medesimo è riprensibile, poichè la nostra natura è degna di amore e il Signore stesso ha proposto il suo amore per noi come modello dell'amore nostro dovuto al prossimo. Quindi l'uomo, essendo creato a immagine e somiglianza di Dio e partecipe della natura divina, per mezzo della Grazia, porta con sé il precetto dell'amore di Dio come obbligo di amare anche noi stessi, anima e corpo, nella ricerca di Dio, Dio stesso e anche il nostro prossimo.
EccoLe, cara sig.a G.G., un mini-trattato, molto concentrato, ma concettualmente chiaro e sicuro, perché praticamente trascritto dal Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica . Può essere una buona - e valida - base per trarre conclusioni pratiche circa quanto occorre ogni giorno: sono, infatti, criteri , e non norme o applicazioni pratiche; sono cioè «principi» che possono e devono orientare i nostri pensieri e i nostri comportamenti. È un campo in cui è affidata alla nostra coscienza la responsabilità del vedere e dello stabilire il passaggio - non sempre facile e tutt'altro che da affidarsi solo al buon senso - tra l'idea e le norme, oppure le applicazioni pratiche.
Sono certo che la Sua sensibilità e la Sua esperienza spirituale la aiuteranno ad applicare con luce e vigore queste nozioni della dottrina cristiano-cattolica ai casi che Le si presenteranno nella pratica della Sua vita di buona cristiana.
Con tutta cordialità e sempre a disposizione,
mi creda dev.mo
P. Nazareno Taddei sj