L'amico G.T. mi internetta: «Sul quotidiano cattolico «Avvenire» di domenica 12 dicembre us, trovo l'intera pagina 17 dedicata al cinquantenario della Messa televisiva. Lei che, per quanto so, ha vissuto quell'esperienza è d'accordo su quanto vi si dice?»
Rispondo volentieri, perché la verità storica è sempre cosa oggettivamente importante e dispiace molto (oltre che imbarazzare) che il quotidiano dei vescovi italiani - che proprio recentemente hanno pubblicato il Direttorio sulle Comunicazioni Sociali, ispirato alla fondamentale e magistrale pericope all'art. 37 dell'Enciclica Redemptoris Missio dell'attuale Papa Wojtyla - persista (è la seconda o terza volta, nonostante alcuni rimarchi fatti, per quanto mi consta, e inattesi) nel dare su quello evento informazioni inesatte, per non dire, come verrebbe da pensare, probabilmente volutamente erronee, senza saperne il perché.
Non è storicamente vero che, come afferma una delle finestrelle che riassume l'articolo principale di Ferdinando Batazzi: «La notte di Natale 1954 da Milano la Rai trasmetteva a per la prima volta una celebrazione eucaristica: da allora la domenica mattina un punto fermo nei palinsesti.»
È vero invece, che - come documento io stesso in un mio articolo sul n° 271 (giugno 1999) del mensile «Edav (educazione audiovisiva)» con l'elenco delle trasmissioni di quel primo semestre- le cosiddette «Trasmissioni religiose» (Messa e Rubrica) della Rai sono cominciate, sì a Milano, ma il 1° novembre 1953 e dal Duomo, con Pontificale ambrosiano e Omelia del card. Schuster, allora arcivescovo di quella città, oggi Beato e, come rubrica, il messaggio di don Carlo Gnocchi (l'indimenticato fondatore dell'Opera per i Mutilatini di guerra) per una giornata di tregua ai detentori di bombe inesplose, allo scopo di evitare nuove postume vittime innocenti della guerra.
Da notare che la Rai, qualche tempo prima, aveva chiesto al cardinale di Milano il nome di un sacerdote cui affidare la responsabilità di quelle trasmissioni. L'ing. Grancini e il suo collega, ambedue della Philips-Italia e dell'Azione Cattolica milanese, interpellati dal cardinale stesso, suggerirono il mio, in quanto incaricato dai miei superiori di dedicarmi al settore dei media e reduce di studi e di esercitazioni attinenti. Il cardinale volle vedermi per una sorta di prova sulla mia fedeltà cristiana, oltre che sulle mie attitudini a quel compito; esame che mi fece con quei due occhietti che ti penetravano fino in fondo, lui che senza conoscere nulla di televisione, ne aveva intuito la profondità di rapporto col bene e col male delle anime.
La Rai dunque mi affidò l'incarico di organizzarle e di stenderne i testi, assegnando la vera e propria regia televisiva a all'ottimo Gagliardelli, che le diresse per alcune settimane, istruendo nel contempo anche me, fino a quando riuscii, in qualche modo, a sostituirlo anche per questo aspetto (non certo privo di soddisfazioni, quando ovviamente ci sono).
Ho mantenuto ed esercitato l'incarico per quasi dieci anni, meno che durante il mio Terz'anno di Probazione in Belgio, quando venni sostituito dal mio confratello P. Covi.
Né il mio nome, né quello del P. Covi, figurano nella dettagliata relazione di «Avvenire», dove appare invece come «primo» don Carlo Baima, giovane sacerdote argentino, a Roma come studente in non ricordo quale ateneo ecclesiastico, mio buon amico ed esperto di ristorantini tipici romani a buon mercato, venuto comunque alla Messa tv ben dopo e solo per le rare trasmissioni dal Vaticano, data qualche sua conoscenza. Per le trasmissioni da Torino, invece, se non c'erano particolari necessità, c'era un bravo don, che poi ha lasciato.
Come montatore cinematografico delle mie (e non solo mie) rubriche, avevo Tomaso Cerrato, vero professionista del montaggio e ottimo e sensibile collaboratore.
Nemmeno uno di questi nomi vi appare, tutti fagocitati da quello dell'amico e simpatico, ma pur casuale collaboratore, don Baima.
Circa poi quel don Natale Soffiantini - (per me: Soffientini), che effettivamente ha preso il mio posto (non so per quanto tempo) quando (1960) sono stato cacciato poco elegantemente e di botto a causa dello «scandalo» del film di Fellini LA DOLCE VITA, - egli mi era stato affidato da non ricordo quale autorità ecclesiastica quale garante di ortodossia. Siamo stati grandi amici; tra l'altro mi accompagnò da mons. Pisoni direttore del quotidiano cattolico d'allora «L'Italia» (divenuto poi l'attuale «Avvenire»), al quale m'ero rivolto per avere un po' d'appoggio contro le «fucilate alle spalle» dei Comunisti contro il mio lavoro. Il senso della risposta, quasi alla lettera, è stata: «Noi siamo i cattolici dei miliardi e non possiamo tollerare il monopolio (di legge) della Rai. Con le Sue belle e riconosciute trasmissioni, Lei favorisce quel monopolio. Quindi, lei deve cercare di fare trasmissioni che siano insoddisfacenti; altrimenti, Lei avrà noi che spariamo al petto.» Ho risposto: «Io ho l'ordine dei miei Superiori di fare le cose nel miglior modo possibile. Se lei vuole, mi faccia cambiare l'ordine...» Ordini nuovi non li ho avuti; ma (vedi l'accennata vicenda dello scandalo de LA DOLCE VITA), i «cattolici dei miliardi» hanno sparato e ben diritto. Ma ...tutto è provvidenziale!
Al Natale 1954, io ero sempre incaricato delle trasmissioni e non mi consta che la Messa sia stata trasmessa dalla chiesetta di S. Gottardo in Corte. Avevo però saputo che, prima di rivolgersi al card. Schuster, la Rai aveva realizzato una Messa a titolo sperimentale e privatamente da un certo «S. Gottardo», il nome del cui parroco, a ricordo mai conosciuto, lo apprendo dal citato «Avvenire» del 12 us.
Nel mensile n° 271 dell'«Edav» sovra citato, trovo riprodotti anche brani di un mio vecchio saggio pubblicato altrove, dove esponevo i miei e nostri criteri nella scelta dei luoghi da cui trasmettere le S. Messe: sono cinque, al posto dei tre, considerati da Lu.Mo. su detto quotidiano del 12 us.
In una parola, ripeto il dispiacere che su precisi fatti storici, ci si ostini nella non cura della verità storica e, penosamente, da parte dei cattolici: sono certo, non per malanimo, bensì forse per evitare la briga di una ricerca seria e non poi così difficile per quanto noiosetta.
Verifico infine, su quella pagina, la nota di Emanuele Milano, direttore dei programmi di Sat2000 (l'emittente tv dei vescovi italiani): «Sat2000 non trasmette invece la Messa della domenica. Ci sembrava inutile e pleonastico andarci a sovrapporre alla tradizionale Messa in diretta su Raiuno o a quella di Retequattro.» Considerazione accettabilissima e addirittura ineccepibile, se il problema della Messa tv fosse tutto lì: il vero problema è quello sollevato perentoriamente dal recente «Direttorio sulle Comunicazioni Sociali della Missione della Chiesa»: la formazione e la preparazione specifica. In primo luogo, la convinzione concreta che la Messa è una cosa e che l'immagine anche tv che la rappresenta è tutt'altra.
Con tutta cordialità e sempre a disposizione
P. Nazareno Taddei sj