L'amico G.B. mi internetta: «Leggo dai giornali che alla 44ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, tenutasi a Bologna, pare ci sia stato un gran parlare dell'Informazione con tutti i suoi mali. Le cito qualche frase (da «Avvenire» di domenica 10 ottobre us: «Bologna comunicare»): 'La vita democratica deve fare i conti con lo strapotere dei mezzi di comunicazione, divenuti protagonisti e in grado di manipolare il reale. Complici la tirannia dell'audience e i partiti politici.' 'L'aumento esponenziale dell'informazione disponibile soffoca, invece di migliorare, la comprensione di dove il mondo stia andando e di cosa fare per spingerlo nella direzione giusta. Un tempo la sfida principale era l'ignoranza. Adesso il problema è l'eccesso.' 'Il vero modo è come vagliare cumuli di dati inutili, come ripulirsi la mente per concentrarsi su quel che conta. Inoltre, la gente è attratta dalla promessa di intrattenimento e la copertura delle notizie fornita dai media assume la forma di spettacolo. Così, spesso, va persa la sostanza.' [. ecc. Basta così!] Cosa ne pensa?»
Rispondo volentieri, non senza anzitutto un senso di disagio: sono andato anch'io a vedermi quelle pagine e, tra il resto, ho trovato una finestrella dalla Sardegna dove don Antonello Mura, che coordina il Progetto Culturale in Sardegna, «avverte l'esigenza che vengano formati anche a livello locale operatori dell'informazione in grado di leggere con occhi critici e creativi, cristianamente ispirati, la realtà circostante, non solo quella ecclesiastica.»
Proprio in Sardegna, all'Università di Sassari dal 1971 su invito e dal 1974 come stabilizzato; e dal 1984 come docente «associato» alla Cattedra di Pedagogia per l'insegnamento di «Metodologia e Didattica degli audiovisivi», fino a qualche anno fa, con 6 ore di lezione la settimana per tutto un semestre (non sono poi due giorni o due settimane!.), mi sono preoccupato di mostrare la vera natura dei media, di spiegarne l'enorme influsso e il metodo per contrapporsi. Ogni anno avevo dai 100 ai 120 candidati all'esame e so che alcuni si sono impegnati e stanno ancor lavorando per continuare quel mio lavoro, urtando contro il maggior ostacolo, ch'è dato dall'indifferenza al problema di parroci e sacerdoti.
Anche in questo momento (sono già in pensione), da almeno due anni, abbiamo, con uno di tali collaboratori, il progetto d'un corso pressoché diocesano, che non siamo ancora riusciti a far partire.
Questi i fatti, come risultano a me.
Cosa penso di quel problema. Veniamo ai testi che mi presenta l'amico interpellante.
Non c'è dubbio, anzitutto, che «La vita democratica deve fare i conti con lo strapotere dei mezzi di comunicazione, divenuti protagonisti e in grado di manipolare il reale.» Ma come e perché ciò avviene?
Non c'è dubbio ancora che «L'aumento esponenziale dell'informazione disponibile soffoca, invece di migliorare, la comprensione di dove il mondo stia andando e di cosa fare per spingerlo nella direzione giusta.» È un vero problema che io stesso più volte ho cercato, di trattare per poterlo affrontare adeguatamente e, posso dire anche, che non sono mancati casi di esito notevolmente positivo della metodologia e delle metodiche applicate. Ma perché non si è riusciti ad estendere maggiormente questa attività?
Considerando con sguardo un po' più ampio tutto quello che ho trovato scritto sul giornale citato, dove appaiono i vari giudizi di personaggi anche insigni, circa il fenomeno dei mass media, m'è venuta spontanea l'osservazione: per trattare adeguatamente un problema letterario o non letterario cinese, è necessario conoscere il linguaggio cinese, grammatica e sintassi, e non solo il lessico. Altrettanto per i media, che sono un fenomeno che ha alla base un tipico linguaggio contornuale e non quello concettuale, al quale siamo legati fin dall'infanzia. Per affrontare adeguatamente il fenomeno in tutti i suoi aspetti, è necessario conoscere bene quel linguaggio che vi sta alla base.
È quello che dice anche il Papa, parlando di quella presenza come di «NUOVA cultura», per i «nuovi modi di comunicare, con nuovi linguaggi, nuove tecniche di comunicazione e nuovi atteggiamenti psicologici».
Non ho letto nemmeno un lontano riferimento a questo aspetto, né diretto né indiretto, nelle cose che ho trovato scritte: segno evidente che chi parla dei media non ne conosce l'unica indispensabile base per poterli affrontare adeguatamente: i mass-media sono un particolare linguaggio.
C'è qualche colpa? Diciamo pure: sì, l'ignoranza di quel linguaggio, anzi della fondamentale importanza di sapere che essi sono quello che sono proprio perché linguaggio particolare: ci si ferma invece ai «fenomeni», cioè ai loro aspetti esteriori e visivi e fenomenologicamente appariscenti, senza preoccuparsi di sapere come e perché ciò avvenga; è ciò che si deve e si può sapere solo conoscendo il tipico linguaggio dei media (almeno cinema e tv), che è ben diverso dal nostro tradizionale; tenendo conto, cioè, di questa «nuova cultura». E penso all'intensità morale con cui il Papa ha proposto il problema della «nuova» cultura sotto il profilo essenziale della pastorale.
Mi viene in mente la consueta quasi scandalizzata obiezione quando offrivo un qualche corso sul cinema e sulla tv: «Beh, il cinema un po' meno; ma la tv la guardo tutti i giorni; cosa pensa di potermi insegnare?»
Ignoranza, appunto, anche in persone che, forse in tutti gli altri campi, sono tutt'altro che ignoranti e forse, quindi, pensano di saperne abbastanza anche in questo. Ma ovviamente non è così!
Cosa penso? Non spetta né a me né a noi attribuire colpe personali; certamente, però, dopo tante e insistenti sollecitazioni della Chiesa, è ovvio che la situazione oggettiva di molti cristiani e anche sacerdoti non è conforme all'impegno che ogni cristiano deve avere nei confronti del problema. Per parte mia, l'ho detto; e spero chiaramente: mi appoggio sulla parola del Papa. Ma forse non ab- bastanza chiaramente per chi ne avrebbe vero bisogno.
P. Nazareno Taddei sj
12.10.2004