Domenica in albis

Cominciano le domande e le polemiche sul film di Gibson, The Passion: avremo modo di riparlarne.

23/04/2004
La domenica scorsa, 2ª dopo Pasqua, era  detta «in albis», perché consacrata (dal latino: albus/-i = bianco/-chi), nei tempi, ai battesimi e, in seguito, anche alle Prime Comunioni, con tutti i candidati in bianche vesti.
M'hanno telefonato alcune persone per chiedermi del film di Gibson, LA PASSIONE DI CRISTO. Ma per chiedermi che cosa? Generalmente, se m'era piaciuto. Domanda piuttosto peregrina, alla quale potevo rispondere solo: «Che sia piaciuto o non piaciuto a me non ha alcuna importanza; importano invece gli elementi che lo facciano apparire valido e quindi, eventualmente, in grado di suscitare motivi di gradimento; ma sotto quali aspetti? Il discorso si fa lungo e non può essere racchiuso in un semplice «sì» o «no» o anche «abbastanza, ma con riserve».
Il «piacere» che uno può trovare o non trovare, assistendo alla proiezione di un film è una pura e semplice reazione soggettiva del singolo spettatore, che però può far parte d'una o d'un'altra categoria di spettatori, che  cercano nel film un motivo di godimento. Ma, allora, ancora una volta: che tipo di godimento? Quello delle donnine o quello delle sciocchezzuole?
Voglio dire, che impostare il giudizio di un film o d'uno spettacolo di qualsiasi genere sul gradimento personale è segno di  crassa ignoranza: «ignoranza» perché non conoscenza colpevole di aspetti e livelli di realtà che una persona anche solo di mezza cultura dovrebbe conoscere; «crassa», perché fondata sui livelli più bassi, anzi insufficienti, della cultura e della dignità umana.
In poche parole: è secondo dignità umana, cui deve corrispondere anche una certa cultura (conoscenza ragionata); rendersi conto, cioè, e regolare, secondo ragionevolezza, i propri impulsi istintivi o anche solo spontanei che esistono e che anche agiscono secondo una gamma di valori oggettivi, fissati dalla ragione e dal comune senso comune.
Oggi, p.e. - colpa anche della diseducazione civile e morale imposta dai mass media - si tende a giudicare il valore di un lavoro sulla base del divertimento ch'esso offre. Si pensi all'aberrazione logica e anche umana, presentata da quegli attori, ma soprattutto attrici, che rendendo conto del proprio lavoro, lo esaltano o lo denigrano, perché «mi sono» o «non mi sono divertita». Ma i soldi li ha presi egualmente, e quanti (?!?) anche se si è divertita, mentre avrebbe dovuto pagare per il divertimento, com'è logico che sia! Grosso errore, secondo la logica, perché il lavoro è un dovere che piaccia o non piaccia; certamente esso può e deve essere considerato finanziariamente in proporzione delle sue difficoltà oggettive, tra le quali dev'essere computata anche la sua durezza psicologica, oltre che fisica, fattore però che non può essere fatto coincidere (e di fatto non lo è) col maggiore o minore divertimento.
Qualcuna delle suddette persone (generalmente responsabile di qualche pubblicazione locale), mi ha chiesto di esprimere il mio pensiero sul film, ma «giornalisticamente», cioè con poche battute e senza motivazioni teoriche; al che ho risposto anche seccamente rifiutandomi, per non essere complice della evidente diseducazione operata da un giornale che non si preoccupa di dare le motivazioni delle proprie affermazioni, soprattutto trattandosi di mass media, all'origine dell'attuale disastro sociale e giovanile.
 
Rispondo quindi il più brevemente possibile a chi mi ha chiesto ragionevolmente un parere sul film.
Anzitutto è un film di fiction (quindi non «documentario» di un evento, di 2000 anni fa), il quale è documentario di una «ricostruzione scenica», impostata sulla sceneggiatura, interpretata e realizzata dagli autori, attori, scenografi, costumisti e operatori cinematografici, secondo l'idea che l'autore della sceneggiatura e della regia s'è fatto di quell'evento.
E qui una prima osservazione: la conoscenza di quell'evento a noi è dato con certezza dalla S. Scrittura (4 Vangeli e Atti degli Apostoli) e santa Sindone di Torino che è documento misteriosamente fotografico del corpo martoriato di Cristo deposto dalla croce. Per Gibson e collaboratori quella conoscenza è data dai Vangeli, dagli Atti e da qualche Vangelo apocrifo, tutti documenti espressi in parole e quindi concettualmente , e dalle testimonianze della mistica tedesca Emmerick (tra il Settecento e Ottocento), pure espresse concettualmente per quanto con alcuni dettagli descrittivi.
Pare invece che Gibson e Ci non abbiano atteso la Sindone, se hanno inchiodato Gesù per le palme anziché per i polsi. Con la Sindone, però, hanno coinciso che le frustrate sono state ben superiori alle quadraginta una minus (Quaranta meno una) di  legge.
Un'altra osservazione: il film è fedelissimo alla storia espressa dai Vangeli; ma è ovvio che questi parlano di flagellazione e di crocifissione, che sono due azioni che, espresse concettualmente, non dicono niente del concreto orrore di una vera flagellazione e crocifissione; quello appunto che Gibson ha voluto concretamente mostrare, per far capire a noi, dopo 2000 anni, quale è stato concretamente il prezzo che Gesù  ha pagato per i peccati nostri e di tutta l'umanità. 
Che, in questa orrorosa presentazione, Gibson si sia lasciato prendere, alquanto probabilmente, da una eccessiva insistenza, penso non si possa negare; ma di fronte abbiamo il suo intento di dare la realtà storica emotivamente col massimo realismo. Un mio anziano confratello, che ha molto meritato per un apostolato intenso e coraggioso m'ha confessato,  proprio ieri sera, d'aver pianto al film come un bambino.
È quello che Gibson voleva: frutto immediato di emozione e non di ragione, che pure esiste per chiunque rifletta, senza dover giungere necessariamente a quell'effetto suggestivo. Possiamo dire, allora, che sotto il profilo razionale, il film ha avuto il limite - purtroppo innegabile - di affidare alla suggestione emotiva quell'effetto che avrebbe potuto - e forse: dovuto - legare a un maggiore impulso di spiritualità, che certo era esistito nel reale evento di 2000 anni fa.
Sotto questo profilo, non mi pare fosse fuori posto il giudizio espresso, in tv, non ricordo da quale nostro personaggio di cinema: «Uscito dal film, mi sono sentito un po' freddo!»: io stesso - e, ho sentito, parecchi altri - più stizzito che emozionato da quell'insistenza un po' brutale, ma che non si può dire violasse la realtà storica (dopotutto è solo un film, come già detto all'inizio), non mi sono peraltro sentito sollecitato - dal film - a riflettere sulla mia parte di colpa per quel martirio, che sento avrei dovuto sentire e sento, oggi, se ci ripenso. Ma questo non può già essere un effetto razionale e non emotivo del film?
Non si può certo dimenticare tutto un contesto che il film ti offre: una meravigliosa figura della Madonna con quella traduzione filmica dello «stabat Mater dolorosa, juxta crucem lacrimosa, dum pendebat filius» (stava in piedi la Madre addolorata e in lacrime presso la croce dalla quale pendeva il Figlio). Durante tutto il film, quella donna orbata del Figlio, «stabat» (stava ritta in piedi, conscia della sua missione, accettata circa 34 anni prima, con quel «fiat» (si faccia).
Non si può dimenticare Pietro che, nell'impeto del suo temperamento, con un colpo di spadino stacca l'orecchio a Marco e Gesù lo riattacca, rimproverandolo, e Pietro va a piangere dalla Madonna per averlo tradito per ben tre volte. E nemmeno si può dimenticare Giuda, villaneggiato da diavoletti bambini, che va a impiccarsi, penzoloni nel vuoto. Ma direi di non dimenticare nemmeno Satana, giovane donna con voce baritonale, che continua nella sua eterna condanna, tentando inutilmente Cristo senza riuscire a sapere se è o non è veramente Figlio di Dio. E non dimentichiamo nemmeno quei poveri autori incoscienti dell'eccidio, poveri esseri pieni di sé e vuoti di consistenza, sui quali scende, anche con quella grossa lacrima celeste, la straordinaria sentenza: «Non sanno quello che fanno», primo atto di misericordia, frutto di quella morte atroce e spruzzo di sangue e  siero redentori.
Il film, così com'è, con le sue ricchezze e con i suoi limiti, ci lascia soli a riflettere su una realtà nostra personale, che già conosciamo e che esso risollecita alla nostra memoria  col realismo della  finzione scenica. Realismo forse troppo forte per bambini non preparati opportunamente.
 
Lasciamo stare i bla bla blà: antisemitismo o non antisemitismo;  barbarie giudaica o romana; crudeltà esagerata o scontata. L'evento di 2000 anni fa ci è stato offerto in una finzione, che ha sempre i suoi vantaggi e i suoi difetti, ma che qui ha voluto esplicitamente essere la più realistica possibile, per scuotere noi, che crediamo in Cristo, dal nostro torpore e per dare la possibilità a chi non crede di avvicinarsi con la serietà d'una ricostruzione storica all'evento più rivoluzionario della storia dell'umanità.
 
Sempre a disposizione e cordialmente

 

P. Nazareno Taddei sj