Il sig. A.C. mi internetta: Il suicidio può essere considerato come l'espressione di un desiderio mistico, (...) come forma privilegiata di ricongiunzione al Padre Creatore? (...) Molti santi desideravano morire per ricongiungersi con l'Oggetto Amato.
La domanda e' certamente fascinosa.
Cerco di rispondere. Il mio povero papà, medico condotto di montagna ma come quelli di una volta (a 40 anni dalla morte lo ricordavano ancora), mi diceva spesso, come dato di scienza e di esperienza, che le persone che si suicidano, almeno nel momento del suicidio non hanno il controllo di sè e sono vittime di una qualche anomalia psichica. Per questo - mi diceva egli, che non era certo un clericale - sbagliava la Chiesa a non concedere (allora) il funerale religioso ai suicidi.
Non e' la risposta al quesito del sig. A.C.; ma forse a qualcosa serve.
Il suicidio, comunque lo si intenda, e' un atto di dominio su una cosa che non ci appartiene, cioè la nostra vita.
Quindi è un atto ingiusto verso l'istinto e il dovere di conservazione che ciascuno di noi ha, spesso è ingiusto anche verso le persone che in qualche modo sono danneggiate (magari anche solo nei sentimenti) dalla scomparsa; talvolta è anche di scandalo; ma, in una parola, è un furto nei confronti di Dio che la vita ce l'ha data e solo Lui ce la può togliere, sia pur lasciando alle cosiddette "cause seconde" (malattie, incidenti, vecchiaia, ecc.) di togliercela di fatto.
Perché non sappiamo mai esattamente quando moriremo? nemmeno quando i medici, in certe situazioni sanitarie p.e. in caso di tumore, si pronunciano?
Già questo mistero dovrebbe far riflettere: Dio non ci fa sapere quando e come ci chiamerà da questa vita, proprio perché noi ci rendiamo conto che è lui il padrone. Quindi, anche solo sotto il profilo del decidere il momento della morte (il suicidio è pressappoco questo), esso è chiaramente un atto contro Dio, è un atto di furto, di disprezzo verso il suo potere.
Quell'atto, quindi, è una trasgressione gravissima e una enorme presunzione, perché è un mettersi al suo posto; e, alla fin fine, soprattutto, è considerare Dio in maniera offensiva. Come può essere un desiderio di unione, mistica poi? E' una contraddizione: un'offesa può essere frutto d'un atto d'amore?
Ricordo un'anziana signora di Trieste che voleva farmi gustare un suo manicaretto: ci voleva un pesce speciale che non sempre si trovava, una preparazione di intere giornate, un vino e un tipo di erbe che si potevano trovare - e non sempre - solo in certi posti al di là del confine (dopo le strane divisioni dell'ultimo dopoguerra).
Quindi, viaggi ripetuti oltre confine, coincidenza di circostanze diverse, ecc. e poi la fatica della preparazione.
Finalmente, un giorno, mi avverte che per il tal giorno il manicaretto ci sarà. Arrivo e mi accoglie con grande gioia, perché il tutto era riuscito benissimo, nonostante tutte le difficoltà.
Supponete che, arrivato, per ringraziarla, Le avessi detto: "Signora, per ripagare tanta Sua cortesia e fatica, anch'io mi sacrificherò e non lo mangerò"!È Pensate che la signora avrebbe gradito quel mio ringraziamento? Qualcosa del genere succederebbe a chi dicesse: "Dio mio, per amor tuo, per incontrati, faccio una cosa che tu non vuoi che io faccia e che mi respinge da te!"
E' vero che molti, moltissimi, santi desideravano il momento in cui si sarebbero uniti con Dio nella morte; ma a nessuno di loro è mai venuto in mente di suicidarsi.
Infatti, un conto è desiderare di unirsi a Dio nell'eterna felicità e conto ben diverso è compiere un'azione che, di per sè, porta all'eterna disunione da Dio, anziché all'unione.
Si può concludere, allora, che chi si suicida va all'inferno?
A questo proposito vale quanto mi insegnava mio papà.
Se c'è "anomalia psichica" quale responsabilità morale ci sarà in chi compie quel gesto?
Non possiamo presumere di essere noi i giudici. Dio sa vedere nell'intimo anche quelli che lo compiono e certamente giudicherà con giustizia e con amore.
Sempre a disposizione, cordialmente
P. Nazareno Taddei sj