I primi giorni dell’anno ci devono condurre a considerare il tempo come compagno di strada, non come cammino verso il nulla. Anche i grandi scrittori parlano del tempo senza dare un significato forte allo scorrere delle ore. Sant’Agostino si ferma solo a dire che c’è un tempo astronomico, che si misura con i calendari, c’è poi quello più interessante, quello dell’anima che unisce il passato al futuro attraverso il presente.
Shakespeare fa poesia: “Il tempo corre con passo diverso a seconda della persona: trotta per una ragazza tra il giorno del fidanzamento e quello del matrimonio, segna il passo con il Sacerdote che non sa il latino e con il ricco che non ha la podagra, galoppa col ladro verso il carcere”.
Virgilio nelle “Georgiche” (III, 283) è sintattico: “Scorre via”. Ma nelle sue opere, la vita è determinata dalla morte, il suo passo è irreversibile: i suoi momenti-fanciullezza, gioventù, maturità e vecchiaia sono irripetibili: dominante la tristezza del nulla dopo la morte. Nel nostro tempo lo scrittore tedesco Heidegger dona in due parole l’essenza del tempo: tesoro e povertà. Tillich, teologo protestante tedesco non dà definizioni; parla della nostra vita quotidiana “fatta di lavoro, di famiglia, di viaggi, di incontri, di conferenze, di tanti giornali, riviste, pubblicità, radio e televisione”: vita priva della dimensione profonda perché è una vita che non si ferma mai, in cui in ogni momento c’è qualche cosa da fare, da dire, da progettare: la persona non può fare l’esperienza della profondità, se non fa silenzio, se non si raccoglie in sé.
Ma non basta raccogliersi in sé se la mente non è pervasa da una idea, da un tipo di esistenza, talvolta anche da una sola parola che indichi un tipo di pensiero, che spinga la persona fuori dal buio; non si può essere certi di camminare in sentieri sicuri, senza paura di perdersi, di trovarsi soli senza una minima risorsa di vita.
Si parla talora di maledizione del tempo, quando l’individuo si trova in difficoltà di vita per sé e per la sua famiglia e fa fatica a parlare di rassegnazione. Gli sarebbe più congeniale dare l’avvio ad un tempo nuovo e migliore. Ma anche questa speranza in un tempo migliore diventa pericolosa, se non poni in discussione il passato per dare una fisionomia più decisa e più responsabile al presente.
All’uomo che vive nel tempo viene offerta per mezzo della fede la forza di non perdersi, di migliorare, di ampliare la sua mente e le sue energie per non incorrere nell’apatia e nella disperazione.
Ognuno di noi dovrebbe sentire Cristo suo contemporaneo. Cristo non solo nelle Chiese e nelle liturgie, ma nel quotidiano, specialmente quando è vuoto e la disperazione si fa largo per dominare: Cristo non è solo speranza, è realtà.
Basta sentirlo vicino da mattina a sera, anche senza parola: e ti trovi sicuro nel difficile, la mente lucida e preparata nella discussione. Certamente devi fare il tuo dovere specialmente se hai a carico una famiglia. Ti aiuta il Cristo a superare le difficoltà del momento se ti sforzi di essere pulito nella carne e nello spirito, se ne ascolti la parola. Basta che tu mattina e sera ti metti in silenzio e lo chiami. Lui viene, ti scolta, ti aiuta a mettere fine alla disperazione che talvolta imperiosa cerca di travolgerti. Giovanni Battista Chiaradia