Ogni santo ha una sua caratteristica. Sant’Ignazio è noto soprattutto come fondatore della Compagnia di Gesù, cioè dei gesuiti. Ma ci possiamo chiedere, avvicinandoci a celebrarne la festa, che cosa ha lasciato di veramente utile per la vita della Chiesa, e per noi, al di là dell’opera dei suoi figli in quasi cinque secoli di apostolato e di missioni di ogni genere e in ogni continente.
Credo di poter dire che ci ha lasciato soprattutto una spiritualità che sa accompagnare le persone nel loro incontro con Dio e nelle loro scelte. Si tratta di un ritorno all’essenziale, a ciò che veramente conta nella vita e le dà un senso, rendendola degna di essere vissuta. A questo mirano in particolare gli Esercizi spirituali ideati da sant’Ignazio proprio per questo. Dio ha per ciascuno di noi un progetto di felicità, di dono, di realizzazione. Ma nel mondo convulso e affollato di oggi non è facile riconoscerlo e non lo era neppure nel Cinquecento. Sant’Ignazio cercava di guidare le persone in un itinerario di discernimento che rendesse limpido lo sguardo e forte la volontà per scegliere quello che, nella preghiera, era apparso come il progetto di Dio. In termini moderni si potrebbe dire: aiutare ad essere liberi e non condizionati nelle scelte in un mondo tanto condizionato come il nostro.
La spiritualità ignaziana mira proprio a questo, in modo che l’incontro con Dio si traduca in scelte concrete e generose, operate vedendo le cose con lo stesso sguardo di Dio, e da vivere con entusiasmo, non come una croce da portare con rassegnazione. Tutto l’atteggiamento di Ignazio è una spinta al dinamismo, a cose grandi, anzi più grandi. Non per nulla Papa Francesco, gesuita, ha pure sempre, nei suoi interventi, questi accenni costruttivi, gioiosi (Evangelii gaudium!), anche quando denuncia i difetti o le «inequità» della nostra civiltà moderna.
Lo stile ignaziano è quello della ricerca silenziosa nella preghiera. In un mondo di violenza e di conflitti come quello del suo tempo, sant’Ignazio non ha mai spinto a «scendere in campo», ma a vedere con pacatezza dove il Signore conduce ciascuno e a realizzarlo con determinazione e serenità. La canonizzazione di san Pietro Favre, uno dei primi compagni di Ignazio voluta da Papa Francesco «canonizza» questo stile di mitezza e determinazione per il servizio di Dio.
Oggi siamo tutti molto gelosi della nostra libertà, uno dei più grandi doni che Dio ci abbia concessi. Ma la libertà ci viene donata per poterla impegnare per qualcosa che ne valga la pena. Credo che in mondo come il nostro, pieno di infinite sollecitazioni, generalmente assai effimere, sia una ricerca che conserva anche più valore che non al tempo di Ignazio. E risponde alla sete inespressa dei nostri contemporanei. Farne oggetto di preghiera è probabilmente il modo migliore di celebrare la festa di questo «spagnoletto, piccolo, un po’ zoppo, che ha gli occhi allegri», come diceva un padovano dopo averlo incontrato.
(*) p. Gian Paolo Salvini sj Rettore de La Civiltà Cattolica