1. Il vangelo di oggi riporta tre parabole di Gesù, una più bella dell’altra. Allora la seconda, quella della donna di casa che ritrova la moneta per terra dov’era caduta, è più bella della prima che riguardava il pastore che ritrova la pecora smarrita. Perché più bella? Perché il pastore invita i colleghi a rallegrarsi con lui e quelli forse lo compatiscono a fare tanta festa per una stupida pecora che s’era perduta allontanandosi dal gregge. La donna, povera di monete, invita le amiche delle sua condizione a festeggiare ed esse partecipano con allegria.
Se le prime parabole due possono riferirsi a fatti della vita ordinaria, la terza non può che corrispondere a un caso di cronaca. Il figlio che ottiene l’eredità prima della morte del padre, che abbandona la famiglia, che vive con le prostitute e che si riduce a un passo dal morir di fame, può essere capitato, anche se certi particolari, come il fatto di ottenere la sua parte d’eredità dal padre ancora vivo a dispetto del fratello, è poco credibile. In quanto poi al vecchio genitore che lo aspetta quando lui decide di tornare a casa e lo abbraccia e organizza danze e un gran pranzo perché è tornato, le circostanze del racconto non possono essere state che inventate da chi ha raccontato il fatto. Neppure una parola di rimprovero esce dalla bocca del vecchio; quelle che stavano per uscire dalle labbra del figlio prodigo, suo padre non vuole neanche sentirle. “Ora è vivo, è tornato tuo fratello, tranquillizza il figlio maggiore, invidioso del trattamento riservato all’altro. Bisogna far festa e rallegrarsi”. Quel “bisogna” non è frutto di logica e non è credibile... eccetto che il narratore sia la Sapienza Incarnata, Gesù Figlio di Dio Padre infinitamente misericordioso.
2. Misericordia sì, va bene, potrebbe commentare il fratello che “ha sempre servito suo padre e non ha mai disobbedito a un suo comando”, ma c’è un limite a tutto! Però, come si fa a muovere obiezione a Dio? Anche perché scopriamo che il narratore della parabola si identifica con il padre del racconto. Siamo noi che ascoltiamo le sue parole a riconoscerci nel figlio prodigo, almeno fino al momento in cui egli ha sperperato i beni ereditati e si riduce a servire uno che lo incarica di custodire la mandria dei porci. Da quel punto in poi dobbiamo uscire dalla parabola: è Gesù che prende l’iniziativa di infondere il rimorso e la nostalgia della casa paterna nel cuore di quel poveretto, è lui che lo convince a tornare a casa fidandosi del cuore di suo padre, è lui che “gli va incontro e lo abbraccia e lo riveste del vestito più bello e gli infila nel dito l’anello, i calzari ai piedi, ordinando ai servi di preparare un gran pranzo perché lo ha riavuto sano e salvo”. Cerchiamo la logica che collega e giustifica i fatti? Eccola: “Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
Finché leggo la parabola oggettivamente resto abbastanza incredulo di fronte a quello che leggo. Sperimento la medesima reazione di quando ascolto Gesù che mi chiede: “Quale pastore che possiede cento pecore e ne perde una non lascia le novantanove nel deserto e non va in cerca di quella perduta finché non la ritrova, se la carica sulle spalle, la riporta a casa e invita i pastori colleghi a far festa perché s’è salvata? ” Nessuno farebbe così, perché il gioco non vale la candela, risponde la logica. Ma la misericordia di Gesù non segue la logica umana. Egli perdona “fino a settanta volte sette”.
Caro lettore, sei tu, sono io, siamo tutti noi quel figlio tornato a casa, quella moneta d’oro caduta a terra e recuperata, quella pecora smarrita e ritrovata. Il Signore di quei suoi tesori è Gesù che li ricerca, li ritrova, li riabbraccia, restituisce a tutti dignità e onore in casa sua, perché egli li ha amati fino a dare la vita per loro. Se leggiamo la parabola soggettivamente prendendo il nostro posto di pecora, moneta e figlio prodigo, cominciamo a comprenderla e ci commoviamo.