Qualsiasi creatura umana che, nascendo, fuoriesce regolarmente dal grembo materno, nasce intelligente, ma nasce ignorante. Nessuno nasce già “dottore”. Ha l’obbligo di mettere, con fatica, in esercizio la propria intelligenza, [pena il rimanere permanentemente analfabeta], la quale tuttavia, per insopprimibile necessità, ha bisogno di un maestro, che la conduca alla conoscenza della verità. Per questo si dice che l’uomo è un uomo ammaestrato. In Mt, 23, 1-12, in un capitolo contenente una delle più violente erealistiche requisitorie, superiori a quelle della letteratura storica mondiale, Gesù, rivolgendosi ai suoi discepoli, vi inserisce la pesante affermazione: “…voi non fatevi chiamare “maestro”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste…” Gesù spiega lucidamente il significato e la indispensabilità, per ogni uomo, di una “unicità” magisteriale come quella di una sola ed esclusiva “paternità”. E lo fa giudicando severamente, con un realismo, che trapassa i secoli e giunge intatto fino a noi e in noi, il comportamento di chi ha avuto i propri maestri. E lo fa puntando su due “verbi” che, didatticamente, hanno praticamente il medesimo significato: “accettare” un insegnamento, mettendolo a memoria; quindi “fare”, cioè ‘metterlo in pratica’. Perché è proprio l’incoerenza, quella che vizia esvuota qualsiasi insegnamento, anche il più veritiero. Diceva Gesù: «…I maestri della legge e i farisei hanno l’incarico di spiegare la ‘legge di Mosè’. “Fate quello che dicono, ubbidite ai loro insegnamenti, ma non imitate il loro modo di agire”; perché essi insegnano, ma poi non mettono in pratica quello che insegnano. Preparano carichi pesanti e poi li mettono sulle spalle degli altri, ma da parte loro non li muovono neppure con un dito» (Mt, 23, 1-5). –
Tuttavia dinanzi ad uno “scristianizzarsi” a vista d’occhio, chi avrebbe mai immaginato che il problema di Dio, Padre e Maestro, sarebbe finito in mezzo alle guepières e all’intimo di una di quelle ebdomadarie patinate riviste di moda, accessorie ai grandi quotidiani nazionali. In un numero, di qualche tempo fa, un noto docente universitario, matematico e filosofo, non temeva di dettare una sintesi ad una sua ampia intervista nella quale …“all’affermazione di Nietzsche: ‘Dio è morto’, Woody Allen ribatté una volta: ‘No, ha solo traslocato e ora lavora a un progetto meno ambizioso’. morto o emigrato, sembra essersene effettivamente andato dall’Occidente e a non interessarci più. O almeno non nelle forme fumettistiche della religione tradizionale, anacronistiche e superficiali per l’uomo tecnologico occidentale…”. Alle citata intervista, il filosofo ne sovrapponeva un’altra [intervista virtuale a Gesù] “personaggio mitologico sul quale non esistono testimonianza storiche…Il cristianesimo non è un’invenzione mia, ma di Paolo di Tarso: della mia vita, nella sua predicazione non è rimasto altro che la mia passione… Anche per questo il cristianesimo è diventato una religione di morte”.
Conclusione: “Dinnanzi all’alternativa ‘ Meglio atei che miscredenti” si trovi il sacro dove veramente sta: nella natura e nell’uomo”. Risposta all’affermazione di Gesù unico Maestro, mi viene in mente, raccogliendo tutta nella tensione, l’ansia e l’angoscia di chi ricerca la fede e vorrebbe ‘ritrovarla’, preziosa perché ridonata dall’Alto (Dio, unico Padre e unico Maestro) la commossa, anche se paradossale, non meno enfatica espressione di E.M. Cioran: “Se credessi in Dio, la mia vanità non avrebbe limiti: me ne andrei nudo per le strade…” (P. Mario Cattoretti o.p.)