Il ruolo della donna nell'antichità biblica – di Mons. Giovanni Battista Chiaradia

.....iniziato male con la disobbedienza ...

27/02/2011
Il ruolo della donna, però, si eleverà ben presto per giungere al glorioso evento del Messia, nato da donna.
Nella letteratura classica non fu così.
Aristotele, nella “Fisica”, parla di donna che desidera costantemente l’uomo. Platone, nel “Timoteo” radicalizza la donna nell’equazione materia-ricettacolo, quindi madre.
Passo alla Bibbia. Nei “Proverbi”, al capo 7, Salomone parla di due figure femminili e di un giovane, che deve scegliere fra “signora sapienza” e “l’adultera lasciva”, al quale raccomanda: “Di alla sapienza: Tu sei mia sorella”, perché con l’intelligenza ti protegga dalla sconosciuta che ha parole seducenti.
Segue un racconto: “Vidi dei giovani inesperti; un adolescente dissennato passava per la piazza, rasente all’angolo, e s’incamminava all’imbrunire, al declinare del giorno, all’apparire della notte e del buio. Ed ecco gli si fa incontro una donna che intende sedurlo… irrequieta, insolente, non sa tenere i piedi in casa sua”.
Invito il lettore a leggere tutto il testo che presenta la donna che ha perso la sua dignità: donna irrequieta, pur avendo una casa e una famiglia in cerca affannosa di una preda.
Subito la signora Sapienza si alza solenne con un discorso stupendo di cui riporto i passi più belli: “A voi uomini io mi rivolgo: imparate, inesperti, la prudenza e voi stolti fatevi assennati. Io, la Sapienza, abito con la prudenza e possiedo scienza e riflessione. Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera… Quando egli fissava i cieli io ero là. Quando disponevo i fondamenti della terra io ero con lui”.
Salomone è artefice di un’altra opera che esalta in maniera poetica la donna: il “Cantico dei Cantici” espressione superlativa che indica il “canto sublime”, un’opera scritta tutta in versi raffinati nei quali l’autore adopera tutti gli artifici della poesia ebraica che, a differenza della nostra poesia, non si accontenta solo di rime (come quelle della nostra letteratura da Dante e Petrarca al Carducci in cui la consonanza di due parole terminano con le medesime lettere su cui cade l’accento), ma usa una ripetizione di suoni per cui la musicalità del testo ebraico è sublime.
Inoltre il linguaggio è denso di parole arcaiche, usate solo nel Cantico che ricordano canti primitivi pastorali usati nelle cerimonie matrimoniali.
Nell’epoca cristiana, Paolo, nella sua prima lettera ai Corinti 11,33 dice: “Voglio che sappiate che capo di ogni uomo è Cristo e capo della donna è l’uomo”. Tuttavia il pensiero di Paolo, del marito capo della donna, non implica affatto la superiorità di natura o di dignità. Ha solo carattere funzionale, secondo la concreta situazione socio-culturale del suo tempo. Così anche nella prima lettera ai Corinti 14,34 “Nelle assemblee le donne tacciano”, nella lettera agli Efesini 5,22 “Siano soggette ai loro mariti”, ma subito dopo raccomandata di amare la moglie come il Cristo ha amato la Chiesa, di curare la moglie, che è carne propria, come anche Cristo fa con la Chiesa.
Gesù, prima di Paolo, aveva compiuto un passo rivoluzionario per quei tempi. Egli chiamò alla Sua sequela delle donne, (come attesta Luca 8,1-3), piuttosto discutibili: “anzi erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità”: Maria Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre che servivano i discepoli con i loro beni”.
Ha il coraggio di parlare con la Samaritana, donna dai cinque mariti e un sesto che non è marito (Giov 4).
Consiglio ai lettori di leggere il testo del Vangelo di Giovanni al capo 8: la donna adultera salvata da Gesù nel momento in cui stava per essere uccisa a sassate.
Mons. Giovanni Battista Chiaradia