«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Marco 8, 35).
Rileggendo questo invito pressante di Gesù ad ogni suo autentico discepolo sono sempre fortemente colpito se non addirittura spaventato o, per lo meno, spiazzato.
Quando ci si sente spiazzati si dà credito più facilmente a risposte difensive e disarmanti, nella mal celata speranza di essere rassicurati e posti fuori gioco.
Per un «buon cristiano» è facile dirsi che l’invito di Gesù fa parte del suo radicale impegno che purtroppo poi nella vita si deve stemperare con tanti calcoli, con tante miserie e povertà e con tante nostra fragilità che rimane un invito alto e nobile ma del tutto al di sopra delle nostre misere forze.
Di fronte a qualche, non certo ingiustificato, scrupolo di inettitudine e di disimpegno che non possiamo non scorgere in noi stessi, ancora una volta con una falsa disinvoltura, ci viene spontaneo far intendere che il tutto vuol dire che dobbiamo sopportare pazientemente i guai che ci cadono addosso, almeno senza ribellarci o imprecare … pertanto: pazienza, come lo struzzo, in attesa che la tempesta passi e che venga qualche giornata di sole e di gioia anche per noi ….
Del resto sofferenze e dolori ti capitano addosso senza preavviso e come le ciliegie, una tira l’altra in una catena, a volte, veramente snervante e distruttrice … più o meno capita a tutti, prima o poi … l’invito è a fare buon viso a cattivo gioco, per non soccombere rovinosamente. Una lezione di stoicismo forzato e ineludibile!
Ma non è così.
Lo sento profondamente e ancor più mi brucia constatando ogni giorno che facciamo fatica a crederci non solo con l’intelligenza ma «con il cuore, e a confessarlo con le opere».
La realtà dell’invito autorevole e non negoziabile di Cristo è così meravigliosa e sconvolgente da rivoluzionare la nostra vita: ci rivela il volto di un Dio che ci prende sul serio, con una stima e una fiducia, immeritata, ma pressante ed inimmaginabile.
Dio: un Padre fuso in comunione di Amore infinito, persona esso stessa divina, a un Figlio divino come il Padre e lo Spirito di Amore che li fa Uno, in una comunione perfetta ed eterna.
Questa eterna fusione d’amore crea, a propria immagine, una miriade di figli liberi. Ma questi figli usano il dono della libertà per rifiutare l’amore stesso che li ha generati e li mantiene in vita: un progetto di morte che sfida e vuole contrapporsi all’eterno progetto di vita e di amore della Trinità.
Dio Padre, in un disegno che supera infinitamente quello della creazione, chiede al Figlio suo amatissimo di donare se stesso (abbassò se stesso facendosi creatura Lui che è il creatore) per salvare tutti i suoi fratelli morendo su una croce (concentrato di umiliazione e sofferenza massima) per amore obbediente al Padre.
Cristo Gesù, figlio obbediente per amore sino alla morte, chiede a ciascuno di noi di collaborare alla sua obbedienza e al suo amore aggiungendo (si può aggiungere a chi è «infinito»?) le nostre croci, accettate con obbediente amore, alla sua Infinita Croce di salvezza universale.
Posso chiedere al mio lettore di fermarsi un attimo a contemplare in che abisso infinito di amore e di condivisione siamo coinvolti, noi insignificanti creature, che invece la Trinità ama in modo unico e personalissimo? Chiedo qualche attimo per lasciarsi folgorare dall’espressione di San Paolo: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Colossesi 1,24)?
don gigi di libero sdb